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Alitalia: una possibile chiave di volta per integrare il sistema trasporti

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Documenti - Alitalia: una possibile chiave di volta per integrare il sistema trasporti

22 Gennaio 2013

Intervista a Francesco Persi

Alitalia torna sotto i riflettori. La compagnia di bandiera è di nuovo al centro dell’attenzione dei media perché il 12 gennaio è scaduto il lock up, ovvero il vincolo che imponeva ai proprietari di non vendere le proprie azioni se non ai consoci. Il lock up risale al salvataggio della società  nel 2008, quando l’allora premier Berlusconi si adoperò per la sua fusione con AirOne e la fece acquistare da una cordata di imprenditori italiani, che ora sono appunto liberi di rivenderla.

“Alitalia è un’azienda sana che può e deve crescere. Per questo chiediamo alla proprietà  di pensare una politica di lungo respiro, di sviluppo dell’azienda. I soci attuali non è che non ce la fanno a mandarla avanti: è che non ce la vogliono fare, perché hanno altri interessi, altri core business. Ma possono ancora scegliere di credere in Alitalia e di farla crescere”. Francesco Persi, Coordinatore nazionale per il Trasporto aereo della FIT-CISL, tronca così i pettegolezzi e le polemiche sorti di nuovo sulla compagina di bandiera, in base ai quali l’azienda sarebbe in crisi e i soci sarebbero ansiosi di vendere, essendo caduto il vincolo del lock up.

Anche l’amministratore delegato Andrea Ragnetti ha invitato a ignorare il gossip in corso sullo stato del vettore: “Ha fatto bene a intervenire per spegnere le speculazioni – spiega Persi – ma non ci basta: pretendiamo da parte dell’azienda di conoscere le strategie da qui in avanti”.

La situazione appare confusa: cosa sta succedendo?

Si torna a parlare di Alitalia sempre sotto elezioni, forse perché qualcuno vuole speculare ai danni della compagnia e dei lavoratori. È certa una cosa però: che l’azienda così com’è non può rimanere, non può continuare a puntare sui piccoli risparmi perché questa non è una politica industriale. Può anche unirsi ad Air France o all’araba Etihad (i due vettori che secondo i media sarebbero interessati a comprarla, N.d.R.) ma in questo caso dovrà  avere un ruolo vero e la schiena dritta, contrattando la propria posizione all’interno del gruppo di cui vorrà  far parte.

Chi entra nell’azienda deve impegnarsi a potenziarla e non a depredarla. Alitalia infatti è una risorsa del sistema-Paese e dire che deve restare italiana non è un vezzo nazionalistico, ma una necessità  per il nostro turismo, che altrimenti morirà . Un esempio di una fusione non negoziata è quello di British Airways e Iberia: la compagnia spagnola è stata cannibalizzata e fortemente ridimensionata dal vettore più grosso.

Secondo i detrattori del salvataggio del 2008, è stata un’operazione inutile e costosa pagata dai contribuenti, che ha solo rinviato l’acquisto di Air France. Il “Corriere” ha calcolato che il costo per lo stato è stato di circa 3,2 miliardi di euro.

La compagnia andava salvata, punto e basta. L’offerta di Air France del 2008 non dava garanzie né sul futuro di Alitalia né sul ruolo dell’azienda all’interno della tutela e dello sviluppo del turismo italiano. Che il salvataggio sia stato costoso è vero, ma è anche vero che allora non c’erano alternative serie ed accettabili.

E i lavoratori che all’epoca furono messi alla porta?

Erano ben 25 mila tra dipendenti Alitalia e AirOne, ma molti di loro sono riusciti ad andare in pensione o a trovare una nuova occupazione. Oggi ci sono ancora circa 4 mila persone che hanno la cig garantita fino al 2015, ma che dopo quella data non avranno un futuro, perché non hanno maturato la pensione per effetto della riforma Fornero: entreranno anche loro a far parte dei cosiddetti esodati.

Eppure l’azienda, se avesse puntato sullo sviluppo, avrebbe potuto riassorbirli e noi della Fit chiediamo ancora che lo faccia.

Come può la compagnia ricominciare a crescere?

Alitalia ha già  perso contro l’alta velocità  e i voli low cost a corto raggio. Bisogna puntare sulla lunga percorrenza intercontinentale: la crisi del trasporto aereo non ha colpito tutto il mondo e quindi la compagnia può ampliarsi là  dove il mercato è in crescita.

L’azienda è anche svantaggiata dalla giungla normativa esistente oggi in Italia, che invece favorisce i furbi, come ad esempio Ryanair. La compagnia irlandese infatti guadagna in Italia e paga le tasse a Dublino, non rispetta le norme contrattuali italiane e non tutela i lavoratori, inoltre riceve soldi dagli enti locali – solo lei ed Easyjet che però almeno rispetta le regole – che sono convinti di attirare in questo modo più turisti, anche se Ryanair impone loro le sue condizioni.

In realtà  la situazione sta migliorando per effetto di una sentenza, su istanza della Fit, promulgata dalla Corte d’Appello di Roma, secondo la quale la compagnia irlandese è giudicabile dalla magistratura italiana e quindi dovrà  cominciare a rispettare le nostre leggi.

Alcuni giornali hanno ipotizzato una fusione Alitalia-Fs, che l’ad Moretti ha subito cassato. Si è trattato di un’occasione persa?

E’ un’ipotesi che non ha senso, è impossibile, perché contrasterebbe con le leggi europee: si creerebbe un cartello dei trasporti. Occorre piuttosto che lo Stato lavori per integrare i sistemi di trasporto. Bisogna cioè investire nelle infrastrutture. Ad esempio bisogna portare l’alta velocità  all’interno degli aeroporti e dei porti principali.

Secondo la Fit, Alitalia è sempre sotto i riflettori, ma i media e i politici non parlano di altri grossi nodi irrisolti del trasporto aereo: quali sono?

Certo, non c’è solo la compagnia di bandiera: i problemi del settore sono tanti e sono stati sempre al centro del nostro lavoro, ma la politica ha preferito fare troppo spesso orecchie da mercante. Per questo adesso la Fit si rivolgerà  direttamente al governo che uscirà  dalle prossime elezioni: chiediamo che i nodi cruciali vengano finalmente affrontati e non lasciati lì a incancrenire. Ma vengo al sodo e li elenco: punto primo, non esiste un piano nazionale di aeroporti; ne abbiamo tanti che non riescono a sopravvivere e il prossimo ministro, chiunque sarà , deve avere il coraggio di razionalizzare, perché i fondi sono pochi e l’interesse locale prevale su quello collettivo. Secondo nodo: non c’è regolamentazione della scellerata liberalizzazione avvenuta, per cui – come ho spiegato – chi non rispetta le regole, come Ryanair, è avvantaggiato. Punto terzo, non c’è un contratto di riferimento nel settore che impedisca alle aziende di fare abbattimento di costi sul personale invece che aumentare la qualità  dei servizi che offrono. E ultimo ma non per importanza, c’è una totale assenza di investimenti infrastrutturali: occorre iniziare un processo di integrazione tra i vari sistemi di trasporto nazionale – aereo, ferroviario e autostradale – e occorre dare certezze alle imprese che vogliono investire sul dove e sul come farlo.

Le famose riforme strutturali, tanto invocate da tutti i partiti, devono includere anche quanto ho detto.

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