Venerdì 29 Marzo 2024 - 12:12

Testo dal Video introduttivo del Convegno del 18-19-20 ottobre 2010

Documenti

Documenti / Testo dal Video introduttivo del Convegno del 18-19-20 ottobre 2010
Documenti - Testo dal Video introduttivo del Convegno del 18-19-20 ottobre 2010

21 Ottobre 2010

Dal 2009 un nuovo modello contrattuale ha sostituito quello che dal 23 luglio del 1993 regolava la struttura della contrattazione in Italia.

Come diceva Tarantelli, prima o poi i problemi bisogna porseli, perché governare i cambiamenti significa non esserne travolti.

Lo stesso spirito, a suo tempo, guidò il riformismo quando il problema era diventata la scala mobile rivelatasi col tempo non la soluzione ma la concausa della spirale che alimentava l’inflazione a due cifre.

L’accordo del 23 luglio del ’93 sottoscritto da Governo, Confindustria e Sindacati si basava su 5 marco aree di intervento:

1. la politica dei redditi e dell’occupazione;
2. gli assetti contrattuali;
3. le politiche del lavoro;
4. il sostegno al sistema produttivo;
5. la politica delle tariffe.

A proposito di modello contrattuale è importante evidenziare che l’accordo del 23 luglio del 93 definiva due livelli di contrattazione con funzioni differenti: un Contratto collettivo nazionale di categoria, di validità  biennale per la parte economica e quadriennale per quella normativa, in cui si vincolavano gli aumenti salariali ai tassi d’inflazione programmata che vengono assunti come obiettivo comune, ed una contrattazione aziendale o territoriale, con valenza quadriennale, nella quale si affrontavano istituti diversi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL.

Nel 1997 il rapporto della Commissione Giugni evidenziava la necessità , da svilupparsi nel secondo livello contrattuale, di una maggiore flessibilità .

Si arrivò quindi al secondo millennio e all’avvento dell’Euro.

La moneta unica di fatto stabilizzò l’inflazione, facendo venir meno una delle priorità  della struttura contrattuale definita nel 1993 e la conseguente impossibilità  di recuperi salariali se non collegati all’aumento di competitività .

Nel 2004 la CISL decise di formalizzare una propria proposta sulle “linee guida per la riforma degli assetti contrattuali”, naufragata però nell’ambito del confronto con Confindustria a seguito dell’abbandono del tavolo da parte della CGIL.

La partita della riforma del modello contrattuale si trascinò senza sussulti fino al 2007, anno in cui la concertazione segnò un altro punto a proprio favore attraverso la sottoscrizione del Protocollo su previdenza, lavoro e competitività , nell’ambito del quale si affrontavano, adeguandoli, temi quali gli ammortizzatori sociali, il mercato del lavoro e la competitività , introducendo sistemi di detassazione e sgravi del costo del lavoro per incentivare la produttività  di secondo livello.

I tempi sembravano maturi e nel 2008 si arrivò ad un accordo unitario sulla riforma della struttura della contrattazione, approvato il 12 maggio nell’ambito di una riunione dei direttivi unitari.

Con l’Accordo quadro del 22 gennaio 2009, si porta a compimento un passaggio necessario ed ineludibile sull’esigenza più volte richiamata di riforma degli assetti contrattuali.

Si stabilisce un nuovo modello, che varia dal precedente.
Al primo livello viene data una vigenza triennale sia per la parte normativa che per la parte economica, prevedendo per quest’ultima un nuovo indice previsionale, costruito sulla base dell’indice IPCA, che sostituisce il meno attendibile tasso di inflazione programmata.

Per il secondo livello, anch’esso di durata triennale, si stabiliscono forme e contenuti che ne rafforzano l’esigibilità , garantendola anche in ambiti territoriali privi di contrattazione aziendale. Si sottolinea soprattutto la valenza della contrattazione decentrata quale ambito nel quale ricercare una maggiore produttività  che, in termini di salario, possa godere di interventi certi e strutturali tesi alla riduzione di tasse e contributi.

Vi sono, infine, interventi sulla rappresentanza e rappresentatività  sindacale e sulla razionalizzazione e riduzione dei contratti collettivi nazionali, quanto mai attuali nel nostro comparto.

Focalizziamo l’aspetto che più ci interessa nel dibattito di oggi, ossia la valenza della contrattazione decentrata quale ambito nel quale ricercare maggiore flessibilità  e produttività  sostenuta dagli interventi legislativi di riduzione di tasse e contributi che appesantiscono la busta paga dei lavoratori e danno sollievo contributivo all’azienda dotando il sistema di una maggiore competitività .

Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana ove lo scambio tra maggiore produttività  e miglioramenti retributivi non avviene a livello di contratto nazionale, al quale resta comunque affidata una funzione di mantenimento del potere di acquisto dei salari, ma a livello di contrattazione aziendale o territoriale.

Bene, se questo è il nuovo scenario della contrattazione italiana come può questo meccanismo funzionare in una realtà  articolata e complessa, diffusa su tutto il territorio nazionale, qual è quella delle aziende del Gruppo FS? Come può funzionare con le relazioni industriali che oggi si svolgono in ferrovia?

Per rispondere a questi interrogativi occorre prima fare una panoramica di com’è, teoricamente, strutturato il sistema delle relazioni industriali territoriali nelle società  del Gruppo stesso, che sono svolte: a livello territoriale dalle Segreterie Regionali congiuntamente alle RSU: struttura sindacale di base nei luoghi di lavoro.
Il primo accordo per la costituzione delle RSU nelle ferrovie è del febbraio 1994. Mentre quelle in carica sono state elette nel novembre 2004.

Nelle 135 RSU e nei rispettivi Collegi sono stati eletti 2052 delegati… un articolato sistema che, in una azienda di servizi a rete presente su tutto il territorio nazionale, vede le Unità  Produttive rappresentate ora da una Grande Officina ora da una rete locale di binari, ora dall’insieme delle biglietterie, ora da un’aggregazione omogenea di questo o di quel processo produttivo.

Un sistema che dovrebbe far funzionare le relazioni industriali a livello territoriale. Già , dovrebbe: vediamo perché tornando all’epoca delle prime elezioni delle Rsu nel 1994.

Erano altri tempi e la contrattazione nelle Fs aveva una valenza molto maggiore rispetto alla situazione attuale, soprattutto in periferia.

Oggi, ed è uno dei nostri punti di divergenza con il vertice aziendale, il livello di efficienza ed efficacia delle relazioni industriali decentrate è ai limiti storici a causa dell’assoluto accentramento decisionale praticato, tanto che le relazioni industriali efficaci nei posti di lavoro sono state, di fatto, sostituite dallo scambio a livello individuale tra utilizzatore e lavoratore con eccessivo ricorso al lavoro straordinario, al lavoro notturno o ad altre compensazioni economiche.

Una situazione che, rispetto alla nuova architettura della contrattazione che abbiamo visto all’inizio, presenta un ulteriore e decisivo elemento di debolezza, vale a dire il premio di risultato secondo FS. Vediamo perché, facendo prima un piccolo excursus storico.

Nelle ferrovie il primo collegamento di una quota di salario a fattori quali la produttività  e la qualità  è rintracciabile fin dal Contratto 87-89. Successivamente il Contratto del ’94-95, recependo i contenuti dell’accordo del 23 luglio ’93, ebbe una forte incidenza anche in termini di relazioni industriali e la questione attinente la retribuzione in funzione dell’aumento della produttività  venne affrontata con la istituzione non più del “Salario” ma del Premio di Produttività . Stabilito l’ammontare economico complessivo e pro-capite veniva rimandata ad un successivo momento di contrattazione l’individuazione dei criteri e le modalità  per la contrattazione decentrata.

Nel successivo Contratto Nazionale nel ’98 viene superato il concetto di premio di produttività  per giungere al cosiddetto Premio di Risultato.

Il meccanismo prevedeva un macro montante economico predeterminato e l’individuazione a livello nazionale degli indicatori di riferimento. Sulla base dell’andamento consuntivato degli indicatori assunti venivano poi attribuiti i montanti economici ad ogni singola Unità  Produttiva territoriale graduandole rispetto alle performance. All’interno di ognuna di essa, alla fine, le RSU contrattavano gli importi da distribuire ad ogni impianto.

Un meccanismo probabilmente non ottimale ma che, purtroppo, si è inceppato ormai da quasi dieci anni eliminando nei fatti qualsiasi collegamento economico a performance da conseguire o conseguite.

Questo perché, già  dalla fine del 2001, alla luce delle difficoltà  a trovare accordi a livello nazionale, si è commesso l’errore di degradare un istituto che dovrebbe premiare in modo differenziato, alla mera erogazione di una cifra media, tra l’altro molto bassa, differenziata esclusivamente sulla base della scala classificatoria.

Sostanzialmente, da allora e fino al 2006 si è predeterminata a livello nazionale la quota media pro-capite svuotando così l’istituto della sua naturale funzione premiale rispetto alla maggiore qualità  e produttività  eliminando, tra l’altro, la contrattazione territoriale su questa tematica.

Siamo ancora in attesa del pagamento di tre annualità  per gli anni 2007, 2008 e 2009.

Dal 20 settembre 2010 stiamo trattando con FS per concordare, finalmente, criteri e obiettivi per il Premio di Risultato 2010-2011.

La proposta aziendale risente ancora di un’impostazione secondo noi superata, in cui si cerca di delimitare notevolmente l’ambito di azione della contrattazione territoriale, avvicinandosi molto alla vetusta concezione in cui a livello nazionale si stabilisce un montante complessivo che va diviso per il numero dei lavoratori.

E’ esattamente il contrario di quello che servirebbe e che la FIT-CISL chiede, invano, da tempo.

Quello che serve veramente, per addivenire ad un accordo condiviso e rispondente alle richieste sindacali che prevedono, nel solco di quanto da tempo proposto dalla CISL, una concreta partecipazione dei lavoratori ai risultati d’impresa è un sistema di relazioni industriali efficiente.

Una strana situazione quella delle ferrovie, dove quello che ora è parte integrante del nuovo sistema circa la contrattazione aziendale è stato anticipato contrattualmente da vent’anni ma che nella sostanza da troppo tempo è divenuto una sorta di erogazione una tantum uguale per tutti che tutto ha, tranne le caratteristiche della sua denominazione.

Appare quindi in tutta chiarezza un quadro ove è pressoché impossibile realizzare quanto previsto nell’accordo del 22 gennaio 2009: non può produrre nessun effetto virtuoso una realtà  che vede l’assenza di vere relazioni industriali a livello decentrato e ove la fissazione di obiettivi e risultati da raggiungere non è traguardata all’effettivo scambio tra lavoro e remunerazione tangibile nei posti di lavoro.

Non funziona!

E dire che il Gruppo FS ne avrebbe assoluto e urgente bisogno soprattutto ora che la concorrenza e il mercato non sono più “allarmismi” ma realtà .

Sono tante ormai le imprese ferroviarie che contendono fette di mercato a Trenitalia. Hanno iniziato quelle come RTC per il trasporto delle merci già  dal 2000, seguita a ruota dalla Sbb Italia e da altre fino ad arrivare alla fusione tra le Nord Cargo (capitale della Regione Lombardia) e le tedesche DB Shenker che hanno dato vita alla DB Shenker Italia. Questo a testimonianza di come il segmento non sia proprio così perdente, almeno dalla pianura padana ai valichi alpini vista la prossimità  di grandi porti italiani. Ma il virus della liberalizzazione ferroviaria è mutato ed ha cominciato ad attaccare il servizio di trasporto dei passeggeri, quello redditizio s’intende. I tedeschi in società  con gli austriaci hanno iniziato già  da un anno il trasporto dal valico del Brennero fino alle principali città  del centro, servendo Bologna e Milano e puntando a Firenze.

Ma nell’autunno del prossimo anno la parte più polposa, il vero business del trasporto ferroviario del terzo millennio, verrà  attaccata dalla Nuovo Trasporto Viaggiatori sull’alta velocità .

Una situazione quindi che di tutto ha bisogno tranne che di uno scollamento sempre più forte tra azienda e lavoratori, minando alla base ogni possibilità  di saper rispondere alla competizione.

Noi pensiamo che occorra un cambiamento radicale della situazione: le FS hanno assoluto bisogno di recuperare ulteriore flessibilità  che non sia confusa con la maggiore produttività  data dalla riduzione scriteriata della consistenza del personale.

Occorre quindi dare alla contrattazione nei posti di lavoro la possibilità  di poter adattare l’organizzazione del lavoro alle esigenze date dal dover essere meno costosi rispetto ad oggi per poter recuperare e consolidare un ruolo primario nel panorama dei trasporti del paese ad iniziare dal segmento delle merci e della logistica e non viceversa.

Per fare questo occorre che le parti in campo facciano un salto culturale, difficile ma essenziale: l’impostazione sindacale va ripensata profondamente, ma lo stesso deve fare l’azienda ad iniziare dal suo AD.
La via di salvezza e di sviluppo di questa azienda, sempre meno sostenuta sia dal capitale pubblico che da una seria regolazione della liberalizzazione, non può prescindere dal ritorno ad uno scenario di reciproca affidabilità , ove le relazioni industriali avvengano con tempi rapidi e meccanismi certi oltre che, naturalmente, con la possibilità  di “toccare con mano” il risultato conseguito dal lavoratore rispetto al suo sacrificio.
La situazione attuale è quella che abbiamo descritto e non risponde a queste esigenze.

Noi proponiamo :
– un aggiornamento della struttura delle Rsu rispetto all’attuale situazione organizzativa delle Società  del Gruppo per poi giungere rapidamente al loro rinnovo già  nei primi mesi del 2011;
– un maggiore peso economico del premio di risultato che sia caratterizzato da obiettivi di riferimento di semplice comprensione e di facile consuntivazione collegati alla trasparenza della loro controllabilità  da parte delle Rsu e del sindacato territoriale.

Questo è un elemento sempre più urgente del quale le FS ed i suoi lavoratori hanno bisogno per sviluppare un ciclo virtuoso.

Non abbiamo tempo oggi di parlare di partecipazione ma uno degli esempi di bilateralità  ante litteram nelle ferrovie è rappresentato dal “Fondo per le politiche attive del lavoro” chiamato in gergo “Fondo esuberi”.

È tornato di grande attualità  in questi ultimi tempi alla luce dell’accordo del 15 maggio 2009 che lo ha attualizzato alle modifiche legislative intervenute dalla data della sua costituzione 1998 ad oggi.

Strumenti quali quello del fondo per le politiche attive del lavoro appena descritto sono sempre più urgenti a livello di intero settore della mobilità  (ne è un esempio la situazione del settore del trasporto pubblico locale) che ostinatamente resta ancorato ad un regio decreto che esprime una finta tutela.

Occorrerebbe invece un vero e proprio Ente Nazionale Bilaterale per l’intero settore della mobilità  che le controparti rifiutano a prescindere, ma questa è un’altra storia.

Login

Effettua il login con le tue credenziali per accedere a tutti i contenuti pubblicati sul sito.
Hai dimenticato la password?

Newsletter

Inserisci i tuoi dati per iscriverti alla newsletter di FIT-CISL.

Chi siamo e cosa facciamo dei tuoi dati personali? Il Titolare del trattamento e' FIT CISL, con sede in Via Antonio Musa, 4, 00161 Roma (RM), tutela la riservatezza dei tuoi dati personali e garantisce ad essi la protezione necessaria da ogni evento che possa metterli a rischio di violazione. Il Titolare ha nominato un Data Protection Officer (DPO) che puoi contattare se hai domande sulle policy e le prassi adottate. I dati di contatto del responsabile della protezione dei dati sono i seguenti: Protection Trade S.r.l. via G. Morandi 22 Itri 04022 Itri (LT), mail dpo_fitcisl@protectiontrade.it