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Legge n.10492: la Corte costituzionale dichiara incostituzionale la mancata concessione dei permessi al convivente

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Documenti - Legge n.10492: la Corte costituzionale dichiara incostituzionale la mancata concessione dei permessi al convivente

1 Ottobre 2016

La Corte Costituzionale con la sentenza n.213/2016 apre la via affinché i permessi della legge 104/92 possano
essere concessi anche per l’assistenza al convivente.
La sentenza trova origine in quanto che il Tribunale ordinario di Livorno, in funzione di giudice del lavoro
chiamato a decidere sulla domanda di accertamento del diritto ad usufruire, da parte di una lavoratrice
dipendente pubblica, i permessi mensili, previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, così come
modificato dalla Legge n. 183/2010 e dal D.lgs. n. 119/2011, per assistere il convivente, ha sottoposto alla
Corte Costituzionale una richiesta di pronuncia di legittimità  costituzionale sui contenuti di detto comma.
Il dubbio di costituzionalità  della norma in questione sorge in quanto non prevede espressamente l’inclusione
del convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito, e quindi vìola i parametri
costituzionali, che riconoscono anche alle formazioni sociali le forme di assistenza riconosciute ed incentivate.
Il comma 3 art.33 legge n.104/92, modificato dal Dlgs n.119/2011 prevede che “Per ogni minore con handicap
in situazione di gravità  accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, la
lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, hanno diritto, entro il compimento dell’ottavo anno di
vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un
periodo massimo, comprensivo dei periodi di cui all’articolo 32, non superiore a tre anni, a condizione che il
bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai
sanitari la presenza del genitore”.
La Corte Costituzionale nel motivare la sentenza, ricorda di aver già  in altre occasioni affermato che le
differenze tra la convivenza e il rapporto coniugale non esclude la comparabilità  delle discipline riguardanti
aspetti particolari dell’una e dell’altro che possano presentare analogie ai fini del controllo di ragionevolezza a
norma dell’art. 3 Costituzione.
In questo caso l’elemento unificante tra le due situazioni è dato proprio dall’esigenza di tutelare il diritto alla
salute psico-fisica del disabile grave, nella sua accezione più ampia, collocabile tra i diritti inviolabili dell’uomo
ex articolo 2 della Costituzione.
La Corte ritiene, ove così non fosse, che il diritto del portatore di handicap di ricevere assistenza nell’ambito
della sua comunità  di vita, verrebbe ad essere irragionevolmente compresso, non in ragione di una obiettiva
carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo, ma in funzione di un dato
“normativo” rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio.
Sulla base di tali visione la Corte ha stabilito che l’istituto del permesso mensile retribuito è in rapporto di
stretta e diretta correlazione con le finalità  perseguite dalla legge n. 104 del 1992, in particolare con quelle di
tutela della salute psico-fisica della persona portatrice di handicap.
Pertanto, con la sentenza n. 213/2016, gli ermellini hanno dichiarato l’illegittimità  costituzionale dell’art. 33,
comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e s.m.i nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti
legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di
gravità , in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.
2
La sentenza apre nuovi scenari soprattutto se traguardati all’entrata in vigore della legge n.76\2016 (legge
Cirinnà ) che apporta modifiche al diritto di famiglia. Vedremo ora come il Parlamento porrà  rimedio alla
pronuncia della Corte.
Il Dipartimento Politiche Sociali

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