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Scioperi, ecco il testo dell’intervento del Segretario generale all’audizione al Senato

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Documenti - Scioperi, ecco il testo dell’intervento del Segretario generale all’audizione al Senato

15 Ottobre 2015

Audizione I e XI Commissione
in tema di regolamentazione del diritto di sciopero nei trasporti ddl 550, 1286. 2006
Senato della Repubblica

15 ottobre 2015

Onorevole Presidente, Onorevoli Senatori,

i disegni di legge nn. 550, 1286 e 2006 oggi all’esame prevedono profonde modifiche all’impianto della legge n. 146/1990 riformando anche in modo radicale l’esercizio del diritto di sciopero per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.

La complessità  e la delicatezza del tema, tanto più nel momento storico ed economico che siamo vivendo, impone che ogni ipotesi di intervento sulla regolamentazione dello sciopero sia sempre ispirata all’equilibrato contemperamento del diritto di sciopero, avente rango costituzionale poiché previsto dall’articolo 40, con altri diritti della persona di rilevanza costituzionale e di conseguenza è necessario che ogni eventuale misura diretta a limitare la portata del primo sia proporzionata, tassativa e prevedibile.
Non ci sembra che i disegni di legge presentati rispondano sempre a questa esigenza.

In particolare il ddl n. 1286 nel definire all’articolo 1 i principi di delega travalica l’ambito della regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali come oggi definiti introducendo limiti normativi e vincoli procedurali in settori che a nostro avviso finiscono per esorbitare dal perimetro dei diritti alla persona costituzionalmente tutelati. Infatti, il riferimento alla necessità  di garantire servizi minimi in caso “di sciopero nei settori o nelle attività  che incidano sul diritto alla mobilità  e alla libera circolazione” sottende evidentemente la volontà  di superare il perimetro non solo della regolamentazione dello sciopero nell’ambito del trasporto in quanto servizio pubblico essenziale, ma addirittura di vincolare e rendere più difficoltoso, se non impossibile, l’esercizio del diritto di sciopero in via generale ogni qual volta venga pregiudicata la mobilità  e la libera circolazione delle persone o addirittura delle merci, considerata la genericità  e vaghezza dell’assunto. Questo tipo di impostazione, il cui significato viene addirittura rafforzato dalla precisazione contenuta nella lettera l) dell’articolo 1 del testo con l’affermazione del “divieto di forme di protesta o astensione dal lavoro in qualunque attività  o settore produttivo che, per la durata o le modalità  di attuazione, possono essere lesive del diritto alla mobilità  e alla libertà  di circolazione” è per noi inaccettabile.

Un conto è infatti intervenire per migliorare e rendere più efficaci le previsioni della legge 146/1990 e successive modifiche, tenendo anche in considerazione i diritti degli utenti dei servizi pubblici essenziali, un conto è derubricare il diritto di sciopero a diritto di carattere secondario quando invece, esso rimane una fondamentale conquista del nostro Stato democratico.

Per quanto riguarda più specificatamente il trasporto pubblico locale, le motivazioni alla base della presentazione dei disegni di legge per i quali veniamo auditi oggi in questa sede sono noti, anche vista l’amplificazione mediatica che li ha sostenuti. Innanzitutto vi è da riconoscere che nel trasporto pubblico locale nel corso degli ultimi anni la proliferazione eccessiva di azioni di sciopero, soprattutto a Roma, hanno generato una situazione tale per la quale l’esasperazione dell’opinione pubblica e della cittadinanza fa si che si tenda a volere una compressione del diritto allo sciopero di questa categoria, eludendo a piè pari le cause di questa situazione.

Otto anni di mancato rinnovo del Ccnl degli autoferrotranvieri, tagli molto pesanti alle risorse destinate al settore, incertezza normativa ed economica, mancata attuazione di una riforma che traghetti il trasporto pubblico da un sistema assistito ad uno industriale sono tra le cause principali. Ma non solo, gli ultimi episodi riferibili all’amministrazione di Roma Capitale, in ordine ad Atac, stanno a testimoniare che le aziende municipalizzate sono ancora molto lontane dall’essere considerate imprese da far gestire con criteri industriali e non politici. A questa situazione di grande difficoltà  si sono aggiunti negli anni gli effetti dell’errata impostazione della legge 83/2000 che ha novellato la 146/90, nella istituzione delle “procedure di raffreddamento e conciliazione” (rivelatesi solo uno slittamento temporale che spesso indebolisce, ma contemporaneamente inasprisce le ragioni sindacali di una vertenza) e norme sulla cosiddetta “rarefazione oggettiva” che hanno prodotto la distorsione di proclamazioni di sciopero per “occupare la casella”.

Questa pratica è utilizzata come vera e propria tecnica di amplificazione e di concorrenza da associazioni sindacali fortemente minoritarie sotto il profilo della rappresentatività .

Gli episodi di questa estate nella metropolitana di Roma lo testimoniano, così come se si andassero a censire gli ultimi dieci scioperi “del venerdì” si vedrebbe che i Sindacati maggioritari non sono quasi mai tra i proclamanti.

In questa audizione vorremmo evitare di entrare nella discussione punto per punto dei singoli provvedimenti proposti, non esimendoci comunque dal dire la nostra sulle questioni di fondo che si propongono.

La prima: ruolo della Commissione di Garanzia

Appare chiara l’intenzione, come più volte chiesto dal suo Presidente Alesse, che la Commissione da ente terzo, diventi attore protagonista con poteri nella risoluzione delle vertenze. Dissentiamo da questa impostazione. Pensiamo che la Commissione debba rimanere, appunto, di “Garanzia” nel senso più ampio del termine. La Commissione non ha alcun ruolo residuale e notarile, come si legge in alcune premesse dei disegni di legge in questione. Non lo ha mai avuto, anzi. Tramite le sue Delibere e le Provvisorie regolamentazioni la Commissione “legifera”, perché sia le une che le altre sono prescrittive e da rispettare pena il sanzionamento. Sempre e solo alla parte sindacale, attesa la debolezza dell’impianto normativo attuale sulle responsabilità  delle imprese e delle amministrazioni circa il potere sanzionatorio, laddove provochino o amplifichino le ragioni della protesta. Il mancato rispetto di un contratto o di un accordo, oppure il mancato pagamento delle retribuzioni sono evidentemente motivazioni che inducono o amplificano il conflitto. Lo stesso Presidente Alesse lo dice chiaramente nelle ultime due Relazioni Annuali della Commissione. Non ci sembra di vedere, nei disegni presentati, molta spinta nel senso di un riequilibrio del sistema sanzionatorio della legge 146/90.

La seconda: sbarramenti e referendum preventivi

Come abbiamo già  affermato in premessa, noi pensiamo che la legge di applicazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali debba rimanere una legge di contemperamento tra diritti costituzionali.
Questo significa che il diritto alla proclamazione di sciopero deve rimanere in capo a tutti i soggetti che la legge abilita oggi. Ciò premesso siamo d’accordo a che si trovi una soluzione che metta in relazione il grado di rappresentatività  con le norme che regolano il diritto costituzionale.
In questo senso il parametro di riferimento a cui ispirarsi non può certo essere il 50% dei lavoratori ma deve essere lo stesso che abilita alla firma dei Ccnl di cui al Testo Unico su rappresentanza e rappresentatività  del 10 gennaio 2015 sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria e successive adesioni.

Rispetto all’attuale impianto normativo questo dato deve essere introdotto per far si che chi è rappresentativo nel settore, tanto da essere tra i soggetti che firmano i Ccnl possa proclamare lo sciopero, fermo restando le norme che lo regolano. Chi non lo è non può farlo nello stesso modo. Una differenziazione sulle norme che regolano la rarefazione oggettiva, per esempio, sarebbe necessaria.

Per quanto riguarda il referendum che, con diverse percentuali, viene proposto in due disegni di legge, siamo molto perplessi. Innanzitutto non si comprende chi lo dovrebbe finanziare e come dovrebbe essere svolto concretamente. Le aziende del trasporto pubblico sono aziende a rete che, per scioperi nazionali, ma anche regionali, vedono la possibilità  di far votare tutti gli aventi diritto dopo diversi giorni, atteso che le persone coprono turni anche sulle 24 ore, con seggi volanti che girano i posti di lavoro percorrendo anche centinaia di chilometri. In questo senso il referendum è uno strumento impraticabile concretamente.

Di contro, se le ragioni a sostegno del referendum dovessero prevalere tanto da renderlo pratica prescrittiva, dopo un’azione di legittimazione di questo tipo si pretenderebbero ancora durata massima e servizi minimi? Tutti coloro che citano gli esempi esteri dovrebbero sapere cosa succede in Francia, in Inghilterra e in Germania quando si fermano i trasporti. Quindi o il referendum salta a piè pari tutte le altre norme attuali oppure diventa concretamente un impedimento ad esercitare il diritto allo sciopero che non possiamo convenire.

Oltre ai provvedimenti in discussione segnaliamo che oggi vi è anche la legge di iniziativa popolare promossa dalla FIT CISL all’esame della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, che ha avuto il suffragio di oltre 80.000 firme certificate.

Essa si basa su quanto dicevamo prima circa la sostanziale irresponsabilità  delle aziende in caso di sciopero. Le aziende di trasporto risparmiano carburante e stipendi, ricevono lo stesso i contributi pubblici, incassando in toto le somme degli abbonamenti.

Pagano i lavoratori rimettendoci lo stipendio e pagano i cittadini non potendo usufruire del servizio fuori dalle fasce protette dai servizi minimi. Pagano le città  che subiscono una esplosione del congestionamento del traffico che le blocca per ore. Le imprese non pagano mai.

Per questo abbiamo proposto rimborso dell’abbonamento e viaggio gratis nelle fasce di garanzia. Per questo abbiamo chiesto che i contributi di quel giorno vadano al fondo di solidarietà  della categoria andando a rimpinguare le esigue casse di un fondo che dovrebbe aiutare nel gestire le mille crisi delle aziende del tpl.

Ritroviamo molto di questa nostra proposta nell’enunciato dell’articolo 4 della proposta n. 2006 del senatore Ichino. Le differenze principali consistono nel fatto che noi abbiamo ipotizzato la fattispecie solo per scioperi a sostegno del rinnovo del Ccnl e non per tutti gli scioperi e che chiediamo che i contributi pubblici vadano al fondo di solidarietà  e non che restino nelle casse degli Enti pubblici.

Concludiamo rimanendo disponibili a dettagliare maggiormente in successive comunicazioni quanto affermato sopra.

Cisl FIT-CISL
Il Segretario Confederale Il Segretario Generale
Maurizio Petriccioli Giovanni Luciano

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