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JOBS ACT: la nuova disciplina delle mansioni

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Documenti - JOBS ACT: la nuova disciplina delle mansioni

2 Luglio 2015

Uno degli aspetti meno pubblicizzati dei decreti attuativi del jobs act è sicuramente quello relativo
alla disciplina delle mansioni. Dietro questa asettica formulazione, in realtà , si cela il vero obiettivo
delle imprese: avere mano libera sul demansionamento del personale. Con la scusa dell’innovazione
tecnologica e l’obsolescenza delle conoscenze, le imprese potranno unilateralmente demansionare il
personale, soprattutto quello più anziano, senza bisogno di trattative sindacali, almeno in prima
battuta. Tralasciamo la valutazione sull’impatto psicologico che tale norma avrà  sui dipendenti in
considerazione del notevole incremento del potere di deterrenza in mano al datore di lavoro. Giova
ricordare che la nuova norma non riguarda solo i nuovi assunti, dopo il 7 marzo del 2015, ma bensì
tutti i lavoratori, vecchi e nuovi, indistintamente. Infatti, il decreto riscrive l’art. 2103 del codice civile.
Dopo avere precisato il principio generale per cui il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le
quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia
successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di
inquadramento delle ultime effettivamente svolte (scompare il termine “equivalenti”), stabilisce due
importanti eccezioni.
“In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali” che incidano sulla posizione del lavoratore, il
datore di lavoro potrà  assegnare il lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento
inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale. Per categoria legale si intende, giusto
l’articolo n.2095 del codice civile, la distinzione dei lavoratori subordinati che prevede le seguenti
categorie: dirigenti, quadri, impiegati e operai. Questo limite è stato inserito dal legislatore solo nella
stesura finale del testo e a fronte delle numerose sollecitazioni che andavano ben oltre a quanto
ottenuto. Ciò significa che chi è inquadrato nella categoria di impiegato non potrà  essere, in prima
battuta, demansionato a livello di categoria operaio. Così, in analogia, per le altre categorie.
Come se ciò non bastasse, è prevista la facoltà  di inserire, nei contratti collettivi, anche aziendali,
previsioni di ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori, sempre nel limite di un livello
sottostante, a prescindere da modifiche organizzative.
Il mutamento di mansioni deve essere accompagnato, ove necessario, da un percorso formativo, il cui
mancato svolgimento non determina comunque la nullità  dell’atto di assegnazione alle nuove
mansioni.
La norma prevede, inoltre, la possibilità  di modificare le mansioni, nonché la categoria legale ed il
livello di inquadramento e la relativa retribuzione nei casi in cui, attraverso accordi individuali
“assistiti”, sottoscritti in sede sindacale o presso la Direzione territoriale del lavoro o le commissioni
di certificazione. Si potranno modificare le mansioni, nell’interesse del lavoratore nel caso in cui si
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possano manifestare questi tre evenienze: conservazione dell’occupazione (per evitare il
licenziamento); acquisizione di una diversa professionalità ; miglioramento delle condizioni di vita.
In tutti i casi il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità , e il lavoratore ha
diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento,
fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità  di svolgimento della
precedente prestazione lavorativa (ad esempio l’indennità  di turno, notturno, indennità  di posizione
ecc..).
Altra partita da tenere presente è quella relativa ai trasferimenti da un’unità  produttiva ad un’altra.
Infatti se da un lato, la novella dell’articolo 2103 c.c conferma che il lavoratore non può essere
trasferito da un’unità  produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e
produttive, dall’altro si evidenziano due eccezioni: che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al
quarto comma dell’articolo 3 del Dlgs 81/2015. Proviamo a decriptare questa apparente innocua
affermazione. Il secondo comma è quello che prevede il demansionamento unilaterale da parte
dell’impresa, il quarto è quello che lo prevede con la contrattazione collettiva. Tradotto, ciò significa
che, in entrambi i casi, chi verrà  demansionato potrà  essere trasferito d’ufficio.
Il legislatore è intervenuto anche per le ipotesi di assegnazione a mansioni superiori. In tali casi il
lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività  svolta e l’assegnazione della mansione
superiore diviene definitiva, salva diversa volontà  del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto
luogo per sostituire altro lavoratore, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, o,
in mancanza, dopo sei mesi continuativi. Anche in questo caso si peggiora la legislazione attuale che
prevedeva tre mesi di mansioni superiori per maturare la promozione. Se ciò non fosse sufficiente
viene introdotta un’altra novità : viene prevista la possibilità , concessa al lavoratore, di rifiutare la
promozione “automatica”.
Ogni commento su quanto legiferato ci pare superfluo. L’indirizzo politico del provvedimento, in
funzione antisindacale, in favore delle imprese era già  chiaro sin dalla legge delega. A ben guardare,
però, il decreto attuativo evidenzia un superamento di quanto stabilito nella legge delega n.
183/2014.
Infatti, nella legge delega si ammette la revisione della disciplina delle mansioni in presenza di
modifiche organizzative determinate “sulla base di parametri oggettivi…” e non sulla base del potere
discrezionale del datore di lavoro. Vedremo, nella quotidianità , quali saranno i comportamenti delle
imprese e soprattutto se, in caso di contenzioso, sarà  riconosciuto l’eccesso di utilizzo della delega
nella scrittura del Dlgs n.81/2015, almeno nella parte relativa alla disciplina delle mansioni.
Il Dipartimento Politiche Sociali

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