3 Novembre 2025
Fragilità storiche e nuove sfide globali impongono una strategia che tenga insieme energia, trasporti e lavoro: un triangolo decisivo per il benessere italiano
C’è una verità che non possiamo più ignorare: il benessere di un Paese non si misura solo con il PIL. Per anni ci hanno raccontato che bastava un grafico con una curva ascendente, un punto percentuale in più, per dire che l’Italia stava bene. L’esperienza però ci dice che non è così. Perché, posto che il PIL cresca, le condizioni economiche delle famiglie non registrano automaticamente miglioramenti significativi. Perché i dati raccontano una storia, ma il mondo reale – quello delle famiglie e dei lavoratori – spesso ne racconta un’altra.
Per valutare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini serve un’analisi più articolata, che consideri diversi indicatori riassumibili in tre pilastri interdipendenti: economico, sociale e ambientale-qualitativo.
In Italia si usa il BES che, attraverso 12 domini di benessere (come, ad esempio, la salute, l’istruzione, l’ambiente, la qualità dei servizi, ecc.) e circa 152 indicatori elementari che offrono dati disaggregati territorialmente, per genere, età, titolo di studio, integra economia, salute, istruzione, trasporti, ambiente, sicurezza, qualità delle relazioni sociali, ecc., e ci restituisce un’istantanea – tempo per tempo – della situazione italiana.
In sintesi, un Paese sta bene quando le persone che lo abitano possono vivere sicure, in salute, avere la possibilità di muoversi per studiare, lavorare, viaggiare e sentirsi liberi di vivere il mondo, di far circolare le merci di cui hanno bisogno, di vivere in un ambiente sano e pulito e, soprattutto, con la possibilità di immaginare un futuro migliore.
Da tali presupposti si comprende che il sistema dei trasporti e della logistica non è soltanto un’infrastruttura tecnica: è un pezzo di benessere quotidiano che attraversa buona parte dei domini del BES. Infatti, la qualità dei servizi si misura anche nella puntualità di un treno, nella frequenza di un autobus urbano, nella possibilità di accedere agevolmente a un aeroporto e a qualsiasi altra infrastruttura. La dimensione del lavoro e della conciliazione dei tempi di vita dipende dal fatto che i cittadini possano raggiungere il posto di lavoro o di studio senza tempi e costi insostenibili. L’ambiente e la salute sono condizionati dalle emissioni del traffico e dagli incidenti stradali. La coesione sociale e territoriale si gioca sull’accessibilità delle aree interne, che rischiano altrimenti isolamento e spopolamento. Persino la fruizione del patrimonio culturale e turistico è legata alla possibilità di muoversi in modo sicuro ed efficiente.
Ecco perché ogni investimento sulla mobilità, sulla logistica e sulla sicurezza del personale non è mai neutro: non riguarda solo il settore dei trasporti, ma tocca la vita reale delle persone e contribuisce a definire il grado di benessere equo e sostenibile del Paese. È dentro questo intreccio – tra dati statistici e bisogni concreti, tra efficienza industriale e diritti dei cittadini – che si misura la capacità dell’Italia di crescere non solo economicamente, ma anche socialmente e ambientalmente.
Ed è proprio osservando questo intreccio che si scopre il filo rosso che lega tutto insieme: sicurezza, salute, libertà di movimento, ambiente e futuro non sono diritti astratti, ma condizioni che dipendono da scelte precise. E queste scelte passano da tre nodi fondamentali: energia, trasporti e lavoro. Tre pilastri che reggono la stabilità del Paese e che, se uno vacilla, inevitabilmente trascina con sé anche gli altri.
Il sistema energetico italiano
È evidente come l’energia giochi un ruolo decisivo nel settore dei trasporti: senza energia stabile, accessibile e sicura, aumentano i costi operativi per mettere in circolazione i treni, l’autotrasporto perde competitività, le navi e gli aerei pagano tariffe che si ripercuotono sull’intero sistema produttivo. Parlare di trasporti, dunque, significa inevitabilmente parlare di energia: del suo prezzo, della sua disponibilità e della sua sostenibilità.
Se guardiamo al passato osserviamo che la storia energetica dell’Italia ha sempre condizionato il destino del sistema dei trasporti. Nel dopoguerra, l’Eni di Enrico Mattei aprì al Paese strade nuove, stringendo accordi diretti con i produttori di petrolio e gas del Medio Oriente e dell’Africa. Fu grazie a quella politica se l’Italia poté alimentare il “miracolo economico” e costruire un sistema industriale e logistico competitivo. Le crisi energetiche degli anni Settanta segnarono una svolta profonda per l’Italia e per l’Europa.
La prima, nel 1973, esplose dopo la guerra del Kippur: l’embargo imposto dall’OPEC fece quadruplicare in pochi mesi il prezzo del petrolio. Le immagini delle domeniche di “austerity” con “tutti a piedi”, le strade trasformate in una gigantesca isola pedonale ante litteram e le auto private ferme, sono ancora vive nella mente di chi le ha vissute e restano tuttora l’icona di quella stagione di improvvisa vulnerabilità nata dall’emergenza energetica.
La seconda, nel 1979, fu innescata dalla rivoluzione iraniana e dal crollo delle esportazioni di Teheran: i prezzi raddoppiarono di nuovo, spingendo il Paese in una spirale di inflazione e difficoltà industriali.
Questi shock rivelarono in tutta la sua evidenza la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di energia oltre che la sua fragilità. Le crisi degli anni Settanta avrebbero dovuto spingere la classe politica di allora – e di dopo – a individuare una strategia energetica lungimirante. Ma così non è stato. Ed è qui che torna alla mente l’avvertimento del filosofo George Santayana: “Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo.” Un monito che vale ancora oggi, perché ogni crisi energetica che ci sorprende dimostra quanto poco abbiamo imparato dalle lezioni della nostra storia.
Il fabbisogno energetico dell’Italia
L’Italia, che importa oltre il 75% del proprio fabbisogno energetico, come riporta il Bilancio Energetico Nazionale 2023 a cura del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, vive da sempre una condizione di fragilità strutturale legata alla dipendenza dall’estero. Ogni crisi geopolitica nel Mediterraneo, ogni rialzo del prezzo del gas o del petrolio, ogni oscillazione dei mercati internazionali si traduce in bollette più care, costi crescenti per le imprese e salari erosi per i lavoratori. La questione energetica non è dunque un tema tecnico riservato agli addetti ai lavori, ma un nodo che riguarda la competitività industriale, la giustizia sociale e la stessa coesione democratica. Senza energia stabile e accessibile non ci sono trasporti efficienti, senza trasporti efficienti non c’è sviluppo economico, senza sviluppo economico non c’è lavoro dignitoso e, conseguentemente, non c’è futuro.
Energia e competitività nei trasporti
Il settore dei trasporti è quindi il barometro che misura la pressione della nostra dipendenza energetica, perché qui più che altrove il costo dell’energia si traduce immediatamente in competitività o marginalità. Nel trasporto ferroviario, ad esempio, l’elettricità incide tra il 25% e il 30% dei costi operativi. Dopo il 2021 i prezzi dell’elettricità sono aumentati di oltre il 70% secondo la Relazione Annuale 2024 dell’ARERA e per il trasporto merci la differenza di pochi centesimi al chilometro è sufficiente a spostare quote di mercato dalla rotaia alla gomma. Nell’autotrasporto il carburante rappresenta il 35-40% dei costi complessivi e nel 2025 il gasolio è tornato oltre 1,8 €/litro (Ministero dell’Ambiente, Osservatorio Carburanti). LNG (Liquefied Natural Gas) e biocarburanti avanzati riducono le emissioni, ma comportano costi maggiori e infrastrutture all’avanguardia che però risultano ancora carenti in Italia rispetto ad altri Paesi europei. Nel trasporto marittimo il carburante incide fino al 50% dei costi di esercizio. L’estensione del sistema ETS UE (Emission Trading System) alle navi che scalano porti europei ha aumentato gli oneri solo per le flotte europee, con il rischio concreto di spostare i traffici verso porti extra-UE come Tangeri, Suez o il Pireo (Commissione Europea, Maritime Transport Report 2024). Nel trasporto aereo, infine, il carburante incide fino al 40% dei costi totali e il SAF (Sustainable Aviation Fuel), pur indispensabile alla decarbonizzazione, costa da tre a cinque volte più del cherosene tradizionale (IATA, Fuel Cost Monitor 2024). Con l’obbligo di utilizzo progressivo (2% dal 2025, 6% dal 2030, 70% entro il 2050 (Regolamento ReFuelEU Aviation) le compagnie europee rischiano di trovarsi fuori mercato sulle rotte intercontinentali. Il quadro è chiaro: senza incentivi adeguati, fondi compensativi e regole globali condivise, la transizione ecologica rischia di penalizzare l’Europa e, in particolare, l’Italia.
Una transizione che sia anche sociale
L’Europa contribuisce a meno del 7% delle emissioni globali di CO₂ (Agenzia Internazionale dell’Energia, World Energy Outlook 2024) e non può pensare di sostenere da sola costi e sacrifici, mentre altre aree del mondo continuano con regole meno stringenti. È indispensabile una strategia internazionale coordinata, che nell’aviazione coinvolga l’ICAO (International Civil Aviation Organization), nella navigazione l’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale) e nell’industria un sistema di accordi multilaterali vincolanti. La transizione ecologica deve essere accompagnata da misure di equità: fondi per sostenere le imprese e i lavoratori, incentivi per la produzione nazionale di SAF (Sustainable Aviation Fuels) e biocarburanti, comunità energetiche nei nodi logistici e nei porti, accelerazione dell’elettrificazione ferroviaria.
Il Piano Mattei: energia, lavoro e futuro
Dopo molti anni in cui la politica energetica italiana è rimasta spesso schiacciata dalle contingenze internazionali e affrontata più come reazione a crisi geopolitiche che come strategia di lungo periodo, il Governo ha scelto di rimettere questo tema al centro della sua agenda. È in questo contesto che è nato il Piano Mattei per l’Africa, una cornice pensata per trasformare il Mediterraneo in un ponte e non in un confine. Dopo l’approvazione in Parlamento, con una legge che ha istituito una cabina di regia a Palazzo Chigi e una struttura di missione dedicata, il Piano è diventato un tassello stabile della politica estera ed economica italiana.
Al centro ci sono sei priorità – istruzione, sanità, acqua, agricoltura, energia e infrastrutture – che provano a tenere insieme sviluppo locale, sicurezza energetica e nuove opportunità industriali. Non solo gas e petrolio, dunque, ma anche rinnovabili, biocarburanti, idrogeno verde, porti e corridoi logistici capaci di collegare l’Africa all’Europa.
La dotazione finanziaria è importante, oltre 5 miliardi di euro pubblici, con l’obiettivo di attrarre investimenti privati e multilaterali, e i primi progetti sono già stati avviati, come segnala la Relazione al Parlamento di giugno 2025. L’ambizione dichiarata è quella di fare dell’Italia un hub energetico e infrastrutturale del Mediterraneo, in grado di rafforzare la nostra sovranità e, allo stesso tempo, di creare lavoro qualificato.
La prospettiva è chiara: se il Piano resterà soltanto un esercizio diplomatico, sarà l’ennesima occasione mancata. Ma se quelle risorse si tradurranno in servizi migliori, trasporti più efficienti, energia stabile e accessibile, occupazione dignitosa, allora avremo davanti non solo un progetto internazionale, ma una concreta possibilità di futuro.
Come FIT-CISL non possiamo che augurarci che questa sia davvero la volta buona: che gli effetti del Piano Mattei siano tangibili, strutturali e di lungo termine, capaci di incidere sulla vita delle persone, sulle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori e sulla competitività del nostro sistema produttivo. Perché l’Italia non ha bisogno di annunci e proclami, ma di scelte che restino. Il nostro auspicio è che questo Piano rappresenti finalmente una svolta: non l’ennesimo capitolo incompiuto, ma l’inizio di una stagione nuova, fondata sul lavoro di qualità, energia stabile e accessibile, trasporti moderni, sicuri, efficienti, efficaci e di qualità. Un futuro che non si attende, ma che si costruisce. Insieme.