21 Gennaio 2013
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Qualificare i nostri giovani prima che la globalizzazione li espella dal mercato.
Il trasporto marittimo produce occupazione sia a bordo che a terra oltre naturalmente essere un moltiplicatore degli investimenti nel cosiddetto cluster marittimo (2,37) che è l’insieme dei segmenti che compongono l’insieme dell’ “economia del mare”.
Circa l’occupazione è importante sottolineare come un posto a bordo ne produca cinque nel cluster (Uffici, riparazioni, forniture, Registri, etc.). La sola attività crocieristica produce in Italia oltre 100.000 posti di lavoro. Per quello che interessa la nostra analisi, è importante capire prima di tutto quanti marittimi vi siano nel mondo, la loro collocazione professionale (ufficiali e ratings) ed il rapporto domanda/offerta. In questo ci viene in aiuto lo studio regolarmente aggiornato Bimco/Isf affidato alla Dalin Maritime University ed al Warwick Institute. Uno studio preciso e puntuale che coinvolge non solo le amministrazioni ma anche gli operatori del settore (armatori, agenzie).
Per capire il trend della richiesta di mano d’opera a bordo vengono simulate diverse situazioni di sviluppo della flotta mondiale.
I dati che riteniamo più reali sono quelli di una flotta che non cresce per lo meno a breve, vista la situazione di crisi in atto. Dividendo in due gruppi le categorie di bordo, notiamo che nel 2010 vi era una carenza a livello mondiale di 12.481 Ufficiali con una ipotesi per il 2015 di 30.240. Ciò significa che per quella categoria vi è grandissimo sbocco occupazionale tra l’altro a condizioni salariali molto alte conseguenza della carenza di quel personale. Quando parliamo di ufficiali ci riferiamo in generale a categorie a forte professionalità come potrebbero essere anche gli elettricisti, frigoristi, etc.
Totalmente diverso è il discorso dei ratings e cioè i lavoratori delle qualifiche più basse. Nel mondo il surplus è di centinaia di migliaia e forse anche per la ridotta certificazione richiesta, le agenzie nei paesi in via di sviluppo li offrono al mercato in numero elevato. I livelli salariali di mercato per loro sono bassissimi, in particolare se comparati con i livelli retributivi di quella categoria nei paesi ad economia avanzata (Europa, USA, etc.)
Di fronte ad un quadro di questo genere un paese che si rispetti e che voglia creare un futuro occupazionale a bordo per i propri giovani si orienta verso la formazione di ufficiali. Lo stanno facendo persino paesi tradizionalmente fornitori di mano d’opera a bordo, quali India e Filippine ove gli ufficiali che stanno immettendo sul mercato sono superiori di numero ai ratings.
Per quanto riguarda l’Italia attingiamo i dati dall’ultima relazione Confitarma. L’associazione degli armatori suppone che al 31 dicembre 2011 vi siano 37930 posti di lavoro a bordo delle navi italiane di cui 22740 coperti da marittimi italiani o comunitari e 15190 da personale non europeo. Su tali posti ruotano circa 53.000 marittimi. Questi sono dati Confitarma, è bene sottolinearlo presunti.
In Italia il numero dei ratings che “sforniamo” è una volta e mezzo quello degli ufficiali continuando in questo modo ad offrire ai nostri giovani solo disoccupazione. I motivi di questa scelta sciagurata o meglio di non scelta sono legati al caos formativo, l’impossibilità di legare il prodotto formativo al mercato, la liberalizzazione delle matricole, la speculazione politica nella formazione, etc.
Questa situazione va avanti da anni ed è chiaro quindi che la massa dei giovani disillusi e senza lavoro è grande. Abbiamo sfornato piccoli di camera invece che allievi ufficiali ed ora non sappiamo che risposte dare loro. Tra l’altro in termini provocatori occorre fare un’altra considerazione. Siamo certi che i nostri giovani siano disponibili a svolgere mansioni umili e pesanti a bordo? E ciò al di là del problema reale dei costi e dei salari.
Invertire il trend dell’abbandono
L’Unione Europea sta cercando da anni di fronteggiare il problema dell’ “abbandono” da parte dei giovani del lavoro sul mare ma senza risultato concreto. Questo deve farci riflettere. Sino ad ora abbiamo parlato della mancata opportunità che abbiamo dato ai giovani; resta la parte degli “espulsi” dalle navi, in particolare il tradizionale vecchio personale di coperta e macchina.
La prima difficoltà è quantificarne il numero, visto che ad oggi al di là dei progetti avviati dal Ministero non è possibile conoscere il numero di marittimi italiani veri, la loro qualifica, età etc. etc. Si può conoscere il numero di matricole, ma in esso sono compresi anche coloro che non navigano da più di 20 anni.
Sul versante sindacale abbiamo cercato di fare una quantificazione attraverso le nostre sedi periferiche. Gli espulsi dal mercato coperta e macchina “sembrerebbero” (il condizionale è d’obbligo) alla fine, qualche centinaio. La motivazioni che non li vede più a bordo sono molte, a partire dalla scelta armatoriale di alleggerire i propri costi. Essi preferiscono infatti avere italiani nelle posizioni alte (visto che comunque il mercato rende costosi negli stessi gradi anche i non-doms) e sostituire i ratings. Le motivazioni formali addotte (spesso vere) sono alcune certificazioni che i nostri non hanno e la conoscenza della lingua inglese, oggi fondamentale a fronte di equipaggi misti.
Certo oggi seguire quanto la STCW ( schede di certificazione degli standard di addestramento previsti dall’organizzazione mondiale marittima , Imo) stabilisce in fatto di certificazioni è spesso difficile e costoso e certamente gli armatori non se ne accollano l’onere. La lingua inglese è fondamentale e di fatto obbligatoria. Del resto è difficile pensare ad un nostromo italiano che gestisce marinai filippini senza conoscere l’inglese. Vi è poi un altro elemento che sta creando problemi all’impiego di marittimi italiani compresi quelli dell’area del cabotaggio. E’ una questione che spesso riguarda anche gli ufficiali. Ci riferiamo al personale comunitario. In base alle norma UE non si può fare distinzioni tra italiani e comunitari (Libera circolazione della manodopera). Questi ultimi debbono essere retribuiti col nostro ccnl se lavorano in bandiera nazionale compreso il Registro Internazionale. Spesso gli armatori li preferiscono ufficialmente per difficoltà a reperire italiani con i titoli richiesti , ma di fatto perché il salario è molto appetibile per questi comunitari (in genere Bulgari, Rumeni, Polacchi, Estoni) e quindi sono disponibili a turni, orari e condizioni di lavoro spesso fuori norma. Il salario medio nel proprio paese di un Bulgaro di un Rumeno di un Polacco è ben al di sotto del nostro e quindi per lo meno per ora sono più disponibili. Del resto la stessa situazione si sta verificando nel mondo del trasporti su strada riferita agli autisti di alcuni nuovi paesi comunitari che stanno creando forte dumping ai nostri.
E’ chiaro che anche su questo argomento di fronte a norme comunitarie che permettono la libera circolazioni della manodopera sul piano legale e sindacale ben poco si può fare salvo una forte opera di sensibilizzazione verso i nostri armatori.
Per capire le difficoltà che ci derivano dalle norme comunitarie e fornire un esempio limite, citiamo la posizione del comandante. Alcuni armatori hanno imbarcato su navi di bandiera italiana in passato come comandante un comunitario. Le Capitanerie si sono opposte ricordando che chi è in quella posizione in alcuni casi svolge funzione di Ufficio di Polizia Giudiziaria ed è in possesso del codice per comunicazioni in caso di eventi bellici etc. Di fronte al rifiuto dell’autorità Marittima , gli armatori sono ricorsi in giudizio sino al massimo livello ed hanno avuto ragione. Ecco quindi che è possibile imbarcare persino il comandante comunitario al posto di un italiano sulle navi con la nostra bandiera.
La battaglia persa della nostra P.A.
Certo la nostra Amministrazione dopo aver perso in sede giudiziaria ha posto dei “paletti” tipo la conoscenza della nostra lingua, della nostra documentazione ed altro, istituendo nelle Capitanerie sedi di esame e verifica. In ogni Capitaneria si stanno presentando , inviati da armatori decine di comandanti comunitari per sostenere l’esame. Questo non é certo un buon segno per il futuro visto che l’apice della carriera viene in questo modo precluso ai nostri giovani ufficiali. Per questo fenomeno vi sono molti comandanti comunitari non italiani sulle nostre navi. Figuriamoci quindi la facilità con cui può essere imbarcato il resto del personale comunitario senza nulla poter fare, salvo come già detto un’opera di grande sensibilizzazione degli armatori e salvo offrire al mercato personale professionalizzato fortemente motivato.
La ricerca di soluzioni anti-crisi
Il quadro di crisi del trasporto marittimo, le normative europee e nazionali sempre più liberiste, una competizione esasperata, non rendono facile l’individuazione di soluzioni ad una disoccupazione sempre più spinta dei lavoratori italiani a bordo. Appare chiaro che non esiste un’unica ricetta per risolvere il problema, salvo tornare, ma questo è impossibile, ad una forma di protezionismo a favore della nostra manodopera che come si è visto, sia il mercato che le leggi comunitarie, impediscono. Altro elemento che rende questa crisi difficile è il tempo. Infatti le soluzioni che si possono individuare presuppongono tempi medio-lunghi anche perché la parte armatoriale dovrà essere coinvolta nelle scelte e non si può sapere quanto ne sia veramente interessata.
Gli interventi devono essere divisi in due filoni paralleli, ovvero la gestione del personale già espulso dal mondo del lavoro ed il consolidamento dell’occupazione futura.
Come sappiamo, l’esubero riguarda i ratings, in particolare di macchina, coperta e hotel, spariti nel tempo dalle navi. Il problema dei famosi piccoli di camera esuberanti, è diverso sul piano psicologico ed umano ed è più drammatico, in quanto la maggioranza di loro non ha mai avuto un posto a bordo. Ci riferiamo per ora al personale che tradizionalmente da tempo impiegato a bordo ed ora espulso (coperta e macchina). Il numero reale di questi, come già detto è sconosciuto, come nello specifico le loro qualifiche e l’età .
Nel settore non esiste cassa integrazione ed il personale di cui parliamo non ha in genere un rapporto di lavoro stabile con l’azienda armatoriale. Andrebbe quindi individuato uno strumento che legalmente e concretamente dia sostegno economico a chi ha perso il lavoro.
In effetti, come è noto, esiste il Fondo Nazionale Marittimi che dovrebbe erogare un salario. Nei fatti ciò non avviene poiché nel tempo le condizioni per avere accesso al contributo di sostegno al reddito sono diventate così stringenti che quasi nessun marittimo ne beneficia. Per questo motivo il sindacato confederale ha esercitato pressioni sull’armamento per creare al più presto, come previsto dalle nuove norme, un fondo di Solidarietà che sostituirà nella finalità il fondo nazionale marittimi. Si tratta di un fondo di sostegno al reddito alimentato per 2/3 dal datore di lavoro ed 1/3 dal lavoratore. Ne potrà beneficiare chi è titolare di un rapporto stabile di lavoro. Nel caso dei marittimi, certamente chi è in CRL (a tempo indeterminato), con un po’ di forzatura il TP (iscritto nelle liste di turno particolare) , ma cosa fare con i TG (iscritto nelle liste di turno generale) che sono la maggioranza?
Pur non avendo dati certi si può supporre che vi sia personale in esubero vicino alla pensione. Sarebbe utile trovare strumenti di “accompagnamento” facendo ricorso a meccanismi che ad altre categorie sono state riconosciuti . Il riferimento è all’amianto ed ai lavori usuranti. Per quanti sforzi abbia fatto, il sindacato non è riuscito a superare le difficoltà che si sono frapposte anche perché l’opinione pubblica ed altri soggetti istituzionali non sono stati certo nostri alleati. Occorre continuare la lotta per vedere riconosciuti anche ai marittimi quei benefici che altre categorie meno esposte hanno ottenuto. Si tratta di un atto di giustizia. A rendere ancora più difficile l’individuazione di soluzione vi è il tentativo di cancellare l’art. 31 della 413/98 in base al quale il personale di macchina ed i radiotelegrafisti, maturate alcune condizioni, può chiedere il pensionamento anticipato di vecchiaia a 55 anni.
Il meccanismo non è molto utilizzato poiché la pensione riconosciuta è limitata (il calcolo sarà completato al compimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia) ma in compenso può essere utile per aiutare coloro che hanno perso il lavoro e com’è nato non hanno in quanto marittimi, cassa integrazione.
Un altro strumento da valutare è la riconversione professionale che può essere ipotizzata per giovani “ratings” in possesso di diploma. Anche in questo caso non si riesce a sapere quanti ne potrebbero essere interessati, ma questa partita potrà essere inserita nel discorso più ampio e successivo della formazione. Vi è in ultimo una soluzione teoricamente molto semplice ma di difficile realizzazione per la posizione intransigente dell’armamento. Sarebbe infatti sufficiente imbarcare un rating in più su una nave in Registro Internazionale per ottenere 750 rientri a bordo. L’armamento sostiene che ciò è molto difficile per i motivi già illustrati precedentemente, quali la conoscenza dell’inglese, il contenuto professionale ed altro. Con gli armatori poi non c’è uniformità di valutazione. Infatti essi sostengono non esservi esuberi o comunque esservi in numero estremamente ridotto. Questo tra l’altro è stato chiaramente sostenuto del Presidente di Confitarma in occasione dell’ultima assemblea nazionale.