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Giovanni Luciano “Azienda Italia. Dove stiamo sbagliando (e chi sbaglia di più)”

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Documenti - Giovanni Luciano “Azienda Italia. Dove stiamo sbagliando (e chi sbaglia di più)”

27 Marzo 2012

Ecco in anteprima l’editoriale del Segretario Generale FIT-CISL su “La Voce dei Trasporti”.

Vertenze al “punto zero”
In che condizioni sono le relazioni sindacali nel settore dei trasporti? Lasciamo stare ogni teorizzazione astratta e facciamo parlare i fatti. Alcune, poche, situazioni concrete. Prendiamo nel settore del trasporto locale e urbano i comportamenti di due controparti, Asstra (pubblici) e Anav (privati) che rifiutano la riapertura del tavolo negoziale per un contratto già  scaduto da ormai quaranta mesi e nel contempo non intendono partecipare in alcun modo agli oneri a carico degli autisti per la loro certificazione, anzi scrivono al presidente del consiglio dei ministri una lettera che è una vera e propria istigazione allo sciopero ed alla rivolta nei contenuti condensati nel concetto di rifiuto dell’istituto del contratto nazionale e nella messa in discussione di quanto pattuito negli accordi aziendali.
Federtrasporto dal canto suo e di contro, nonostante l’intervento legislativo ostativo all’obbligo di contratto nazionale per le imprese ferroviarie, da tempo ha riaperto il negoziato, ma ai ferrovieri con figura professionale legata alla trazione, scorta e manovra la riforma delle pensioni, ha innalzato il limite di età  per la pensione di vecchiaia ad oltre 66 anni.
La procedura di Tirrenia, ha avuto sì una boccata di ossigeno di meno di tre mesi, ma in questo poco tempo occorrerà  trovare con urgenza le soluzioni per ovviare alle capziose rigidità  comunitarie che, al di là  di tutto, sono veramente odiose, anche perché sono state fatte addirittura due procedure di gara europea prima di arrivare all’assegnazione alla CIN.
Potremmo proseguire con la situazione drammatica che stanno vivendo i lavoratori degli aeroporti e/o delle compagnie aeree oppure ricordarvi di quelli dell’Anas che hanno stipendi e assunzioni ancora sotto blocco “statale”.
Centinaia di lavoratori del trasporto ferroviario notturno sono ancora “a terra”.
Potremmo continuare a lungo, citando le molteplici difficoltà  anche nelle altre aree contrattuali, ma crediamo che la situazione sia chiara nella sua complessa difficoltà .

Ma il Ministro dov’è?
In tutto questo, da tempo, ci poniamo una domanda: dov’è finito il Ministro dei trasporti? Perché non ci risponde?
Certo, la crisi economica e finanziaria, l’euro sotto attacco, il debito sovrano assaltato e la recessione sono ingredienti micidiali che generano e complicano questo stato generale di cose.
È vero, ma in una situazione così occorrerebbe “stringersi a coorte”.
In una situazione come questa ci vorrebbe qualcuno meno saccente al governo.
Il denominatore comune di tutte le vicende elencate sopra, infatti, è l’assenza di rapporto con l’istituzione preposta.
Non lo ribadiamo per additare colpevoli o per addebitare colpe, sappiamo quanto sia difficile la situazione. Lo ripetiamo, invece, per sottolineare quanto siano questo Governo e questo Ministro a sottrarsi dalle proprie di responsabilità  istituzionali.
Il 1° marzo 2012 abbiamo fatto uno sciopero unitario “confederale” di tutti i trasporti ed eravamo stati buoni profeti a dire in tempi non sospetti che sarebbe stata una vertenza lunga che ci avrebbe impegnato molto.
Ad oggi, non abbiamo ancora messo in cantiere nuove iniziative. Lo si sarà  notato!
Questo non perché abbiamo desistito ma perché, oltre che al lavorio dell’azione di diplomazia che normalmente accompagna anche queste fasi conflittuali, abbiamo voluto riflettere a lungo su come sia meglio procedere in una situazione di contesto in cui l’utilizzazione della sola azione di sciopero nel rispetto delle regole spesso non è efficace in virtù della indifferenza e della irresponsabilità  istituzionale e datoriale.
Lo sciopero lo pagano i lavoratori ed i cittadini e questi, quando scioperano i trasporti, non sempre riescono a comprenderne le ragioni e diventano alleati di quegli “irresponsabili” di cui sopra.
Noi pensiamo che la vertenza debba continuare ma che vada disarticolata pur rimanendo le singole azioni all’interno della sua connotazione generale e che debba essere accompagnata da azioni di lobby, di comunicazione diffusa, da manifestazioni ben organizzate in appoggio e preventive all’astensione dal lavoro.

Chiamare i cittadini al nostro fianco
Occorre trovare il modo di far toccare concretamente con mano all’opinione pubblica che se un giorno non trovano l’autobus o la metropolitana è perché chi fa il Ministro non interviene per cercare di evitarlo, pur essendo un suo dovere istituzionale previsto dalla legge sugli scioperi e/o perché qualcuno che dovrebbe riconoscere quanto stabilito e concordato nega persino la sede dove “litigare” rimanendo chiuso a difesa dell’esistenza del suo fortino associativo.
Un fortino associativo sostenuto dalle quote delle aziende pubbliche di trasporto, che sono a loro volta sostenute dai soldi pubblici.
Chi dovrebbe intervenire per mediare o provare a far trovare un accordo alle parti se il conflitto rischia di bloccare le città , gli aeroporti, i treni, i porti’¦il paese?
Qualcuno ci ha rimproverati di essere stati duri nei giudizi sul Ministro dei trasporti nel precedente editoriale.
Se dire che il Ministero dei trasporti è ormai un palazzo disabitato vuol dire essere duri lo ribadiamo.
La loro convinzione che i rappresentanti del lavoro non ci sono, che i lavoratori non ci sono è palese, come si vede in questi giorni sulle questioni del mercato del lavoro.
Così come è emblematica invece la sensibilità  alle banche ed alle loro rimostranze, come si è visto.
Lobby, banche, finanza. Di questo dobbiamo morire?
Speriamo solo che l’esercizio della responsabilità  innato nel nostro dna resista ancora a lungo, ma niente è infinito.
Nel frattempo la via maestra per noi come sindacato riformista è la contrattazione, dove e come si può. E la cosa che ci dovrebbe far riflettere di questi tempi è che paradossalmente è più facile trovare spazi di contrattazione con le aziende private che con quelle pubbliche. Dove c’è l’impresa e la necessità  pragmatica di trovare soluzioni per andare avanti, dove appunto c’è la responsabilità  dei risultati, dove c’è qualcuno che paga se non risolve i problemi, lì c’è più contrattazione. Dove c’è qualcosa o qualcuno di concreto anche nelle istituzioni o in rare aziende pubbliche, c’è contrattazione.
Contrattazione con tutti i distinguo e/o le divergenze, ma contrattazione che spesso trova soluzioni.
Alitalia Cai è uno di questi ambiti, ma la stessa Meridiana, Fise per l’igiene ambientale, Ntv, Rtc, Trenord sono solo alcuni esempi.
Dove c’è un interesse concreto o dove il sindacato riesce a generarlo si apre la contrattazione, dove l’interesse è altro, come nel caso di Asstra, c’è il blocco pluriannuale.

Dove c’è responsabilità , c’è contrattazione
D’altronde che interesse hanno questi signori a rinnovare un contratto nazionale? Nessuno. Passa il tempo ma anche se blocchi le città  nessuno li prende per le orecchie e via così. Non è la stessa cosa di Fs che invece non chiude il tavolo del Ccnl ma tiene alta l’asticella finché non ha chiaro quale sarà  il contesto contrattuale nella concorrenza dove, ancora i nostri “splendidi” governanti hanno tolto di mezzo l’obbligo di applicare un Contratto nazionale.
In quell’ambito occorre far abbassare quell’asticella, ma occorre predisporsi alla difesa del lavoro e del reddito per tutti i lavoratori del ferroviario con un salto di paradigma che trasformi una consuetudine contrattuale fatta di tante rigidità  e limiti scritti sulla carta ma piegati costantemente ad una utilizzazione di fatto, spesso individuale ma generalizzata, ad un contratto di lavoro nazionale che dia le possibilità  contrattuali previste nell’accordo del 28 giugno 2011.
Non vorremmo che i dipendenti del Gruppo Fs seguissero la stessa sorte dei manovratori con 34 ore di lavoro settimanale. Nessuno ha voluto avere il coraggio nel 2003 di cambiare le cose. Nessuno ha voluto spiegare che era una cosa insostenibile e tutti contenti’¦ma di manovratori in ferrovia a 34 ore ne sono rimasti pochissimi.
Speriamo che i contatti aperti recentemente dal Presidente di Federtrasporto siano forieri di uno sblocco concreto della situazione.
Metteremo in campo azioni, dunque, per dare continuità  alla vertenza trasporti e cercheremo di farlo nel migliore dei modi avendo cura di privilegiare azioni efficaci. Sempre che in Italia, passati dalla nave alla neve, si riesca a parlare anche di qualcosa che non sia solo l’articolo 18.

Riforma del mercato del lavoro
Le vicende, esplose con grande deflagrazione, sulla riforma del mercato del lavoro, hanno creato ormai le stesse modalità  già  viste moltissime volte, anche nel recente passato.
Il solito problema. La Cisl “venduta”, la Cisl stampella del Governo, Bonanni di qua e Bonanni di là .
Il “processo”, questa volta, è scattato su un aggettivo: “positivo”. Aver detto che l’impianto del provvedimento era positivo ha scatenato i soliti noti e “dalli all’untore”.
Mesi di discussione e di posizioni espresse, tutte apprezzate in precedenza, tutti d’accordo, Cgil e Pd compresi, tranne la Fiom per motivi chiari, sono stati spazzati via in un attimo.
Bonanni, la Cisl, ha sostenuto dall’inizio di questa vicenda che la modifica dell’articolo 18 era l’ultimo dei problemi che ha il Paese e che non capiva il senso di doverlo toccare. Dopo settimane di discussione su un impianto molto più ampio e soddisfacente per risolvere i problemi di quei tre quarti di persone che non hanno possibilità  di porselo, il problema dell’articolo 18 purtroppo, si è andati su una ipotesi di “manutenzione” alla tedesca come proposta non solo di Cisl.
Monti, invece, prima forza e poi resiste sulle sue idee, Napolitano, noto uomo di destra, scusate l’ironia, lo appoggia anche in questa situazione e noi, siccome cerchiamo soluzioni possibili invece di bloccare le tangenziali, dobbiamo sempre essere attaccati a prescindere, secondo gli strilli giornalistici e prima di conoscere il merito vero delle cose? Non va bene.
Scrivo questo pezzo domenica 25 marzo e ho appena letto l’intervento di Eugenio Scalfari su Repubblica. A meno che anche Scalfari sia passato a destra, forse sarebbe il caso che si provi a ragionare meglio, prima di inseguire estremismi forieri di tanto rumore e di molto nulla.
Salvare il lavoro vuol dire tenerselo, mantenendo l’impresa in Italia o creando condizioni per attrarre investimenti in Italia. Non è cancellandolo che si attraggono investimenti sicuramente. Ma se si chiede al sistema imprenditoriale di pagare di più per avere tutele generalizzate per chi non le ha per niente, la manutenzione delle norme di quelli tutelatissimi, se resta aperta la fabbrica ovviamente, è una opzione che va discussa seriamente, senza per questo mandare al cimitero chi ha cognomi che fanno rima. Se non siamo impazziti tutti.

Un segretario regionale della nostra Federazione mi ha inoltrato la lettera che segue, ricevuta da parte di un giovane lavoratore, che voglio qui pubblicare senza farne il nome, perché è emblematica e non solo per la vicenda dell’articolo 18. Nelle conclusioni di questo articolo vi invito poi a leggere alcune considerazioni su quanto scrive.

Cosa vuol dirci un giovane deluso
Amici, vi saluto.
Me ne vado via dal sindacato.
Vi devo però delle spiegazioni anche se, me ne rendo conto, la mia fuoriuscita non ha nulla di eclatante, né avrà  importanti ripercussioni organizzative, eccetto – e me ne scuso – l’abbandono del progetto di formazione nazionale della FIT-CISL, cui ho aderito poche settimane or sono.
Ve le devo per il rispetto che meritate.
In questi giorni ho assistito sgomento e incredulo al precipitare delle consultazioni che il governo ha attivato con le parti sociali per la riforma del mercato del lavoro.
Di consultazione si è trattato, è evidente, di un’audizione scevra da volontà  pattizie, non già  di concertazione o di negoziazione, come ancora qualcuno sostiene.
Ancora una volta i sindacati si sono trovati dinnanzi a comandi, per lo più ultimativi e immodificabili, con la sola prospettiva di “firmare”, con un avallo supino, il verbale di garanzia di una resa collaborativa (consociativa, la definisce Monti).
Oggi, come in occasione del “Decreto Salva Italia”, il consenso delle parti viene ricercato, ma solo per imbrigliare preventivamente le prevedibili reazioni sociali provocate dagli interventi intrapresi, e non per negoziare il merito degli stessi.
Il merito è concordato unilateralmente con i potentati finanziari e imprenditoriali, anzi è da loro dettato, pubblicamente e senza riserbo.
La filosofia che ispira questo governo assolutista è palese: i costi della crisi devono ricadere tutti sui lavoratori dipendenti e sui pensionati, con buona pace delle retoriche professorali che ci vengono inflitte e dei buoni propositi, che tutti condividiamo.
Ha detto bene Pierre Carniti: un sindacato con le mani legate e ridotto al ruolo di notaio non firma accordi. Prende atto, al limite subisce, quando va bene reagisce, ma non collabora con le ragioni di chi vuole imporre questo odioso dominio.
Oppure – questa è la domanda che oggi mi pongo, il dubbio che mi tormenta – il sindacato collabora perché ne condivide le ragioni e gli strumenti?
La scelta di Bonanni (la scelta della Cisl) mi appare davvero una scelta collusiva. È figlia della sostanziale condivisione di un orizzonte di senso e di una posizione ideologica. Liberista o neo-liberista, nel caso in questione. Di una medesima definizione di realtà , di un identico racconto del mondo che, alla fine, ha recintato anche il sindacato, con la forza del pensiero unico e con una insindacabile, è il caso di dirlo, pretesa di oggettività .
Nel merito dei fatti recenti, a nulla vale ricordare, dati alla mano, che non è possibile confermare l’esistenza di una correlazione tra maggiore precarietà  e minore disoccupazione. Ovvero tra indici di protezione del lavoro (Epl, Employment protection legislation) e tassi di disoccupazione.
Davvero, in tutta coscienza, possiamo credere che la fuga di capitali è un problema legato all’articolo 18?
Possiamo credere che l’austerità  aiuta la crescita, che i tagli riducono lo spread, che l’allungamento dell’età  pensionabile facilita l’ingresso nel mercato del lavoro dei più giovani, che la libertà  di licenziamento aumenta l’occupazione?
“L’ignoranza è forza, la guerra è pace, la libertà  è schiavitù”: erano gli slogan incisi sul verso delle monete dell’Oceania Orwelliana, sulla facciata del Ministero della Verità … Temo anche sulle nostre monete.
Insomma, di cosa stiamo parlando?
È evidente che il problema non è l’articolo 18. Non lo è nemmeno per le aziende.
C’è in gioco qualcosa di più importante, a mio avviso.
L’identità  stessa del sindacato e il suo ruolo. Ovvero, per quanto mi riguarda, la mia identità  di lavoratore associato al sindacato. La mia sicurezza, la mia libertà  e la mia dignità  (dice la Costituzione) che non possono essere vendute come merce nei mercati globalizzati, tenuti in ostaggio dalla finanza.
È in gioco il mio “scalpo”, come in questi giorni si dice, con una eloquente e fortunata metafora.
Parlo dunque di me.
Sono entrato in Cisl quasi due anni fa. Mi attirava allora la promessa di una crescita personale e professionale e il bell’esempio di alcune persone che ho imparato a stimare e che considero maestri. Ho portato con me la mia esperienza, le mie contraddizioni, i miei conflitti, i miei dubbi, la mia diversità .
La mia voglia di studiare, nel corpo vivo del lavoro, i problemi del lavoro.
Il mio desiderio di partecipare.
Mai, neanche una volta, ho dovuto negarmi. Di questo sono grato alla Cisl.
Penso adesso a questo tempo come ad un viaggio che ha fatto di me una persona diversa: altre e nuove domande sono nate, altri desideri e nuove promesse.
In questi giorni però si è rotto un equilibrio delicato (capisco solo adesso quanto fosse debole e minacciato) e non posso tacere a me stesso e a voi il mio disorientamento.
Né questo mio rifiuto.
San Giovanni della Croce ha detto: “Per raggiungere il punto che non conosci, devi prendere la strada che non conosci”. Ecco, sto cercando di uscire da una cornice che mi stringe e non mi consente più di esprimermi, per trovare, spero, un’altra via. Proverò a declinare diversamente quella voglia di partecipare e di essere parte attiva che mi accompagna fin dall’adolescenza.
La Cisl mi appare oggi come un sindacato di destra, ve lo confesso. E sì, in questo, è autonomo, come vuole il Preambolo. Non cambia il suo indirizzo a seconda dell’interlocutore politico di riferimento, sia esso Berlusconi, Brunetta, Sacconi o Monti.
Mi appare come un sindacato ricco, con le casse piene di oro, che però – come una chiesa barocca e controriformista – chiude fuori sui gradini il magro giorno di milioni di persone che non hanno accesso alle sue liturgie negoziali. Chiude fuori la teoria di mendicanti con il cappello in mano. Parlo della mia generazione, dei miei amici, della mia ragazza, di tutto un mondo che il sindacato ignora e non difende. Per il quale il sindacato è solo un inutile apparato parassitario o, peggio, un nemico pronto a tradire le ragioni dei lavoratori.
Ho visto un sindacato sclerotizzato nei cerimoniali di potere interni, una organizzazione feudalizzata, spesso peggiore delle aziende con cui si rapporta. Un sindacato che probabilmente tra dieci o vent’anni sarà  un’associazione di pensionati (ho il massimo rispetto per i pensionati, anche se con ogni probabilità  non avrò mai una pensione) e di clienti più o meno soddisfatti che comprano i suoi servizi a bassa soglia.
Per costruire un mondo migliore, mi dico, bisogna innanzitutto pensarlo possibile. Bisogna sottrarsi dalla stretta dell’ideologia dominante che ci incarcera (e incarcera il sindacato) nei vincoli delle compatibilità  dettate dalla finanza: la nuova teologia contemporanea.
Ha ragione il professor Carlo Smuraglia, uno dei maestri del diritto del lavoro italiano, quando dice che l’articolo 18, nel sistema del diritto del lavoro, equivale al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. Lo traduce anzi, gli dà  corpo.
Ha ragione il professor Umberto Romagnoli, altro maestro che ho avuto la fortuna di conoscere all’Università , quando dice che la libertà  del lavoro è uguale a se stessa sempre e in ogni circostanza. E non si spalma come la marmellata.
Vedete, c’è un mondo intero intorno a me che urla la sua ragione, e reclama un posizionamento radicale rispetto ai problemi che abbiamo dinnanzi.
Radicale e non estremista. Radicale e non estremista.
Vorrei sentire parlare di vera universalità , di allocazione universale garantita, di reddito di cittadinanza. Di questo voglio parlare, se vogliamo trovare strade nuove.
In conclusione, questo governo confindustriale può riconsegnare al datore di lavoro la possibilità  di licenziare a propria discrezione, la facoltà  di liberarsi di un lavoratore pagando, ma mi aspetto che lo faccia da solo. Senza l’accordo del sindacato.
Non del mio, almeno.
E mi aspetto che se ne assuma la responsabilità  dinnanzi al Paese.
Per questo me ne vado e penso così di fare la mia parte. Restituendovi la mia tessera. La mia delega.
Non a voi, come persone, ovviamente: a voi va il mio grazie e una bella stretta di mano.
Mi tengo l’amarezza per tutte le cose belle che ho intravisto in questo sindacato e che non raggiungerò mai. Per tutte le cose che avrei potuto fare e che non farò.
Forse, quando mi sarò rialzato, le farò da un’altra parte.
Mi scuso infine per le mie intemperanze, per la mia confusione e per le promesse non mantenute.
Vi auguro buon lavoro.

Sono ormai abbastanza esperto per non sapere che in molti criticheranno la scelta di pubblicare questa lettera addirittura nel contesto dell’editoriale del segretario generale.
Vi confesso però che la titubanza è durata pochissimo.
Non voglio da queste colonne ribattere, rintuzzare o criticare quanto affermato da questo giovane amico. Esprimo solo un profondo rammarico per la sua scelta di non aderire più alla Cisl in virtù delle esasperazioni mediatiche che rendono il mondo o tutto bianco o tutto nero.
Certo la visione del mondo a venti-trent’anni è diversa, lo so ormai per esperienza, che a cinquanta o a sessanta.
Mi hanno colpito molte cose di questa lettera. La prima è che non è vero che persone giovani non siano attratte dal sindacato, anzi l’idealità  è più diffusa di quanto si pensi.
La seconda, al di là  del merito sulla riforma del lavoro o della infinita querelle sull’articolo 18, è il punto di osservazione sul sindacato, sul nostro: “la Cisl mi appare oggi come un sindacato di destra”‘¦” Mi appare come un sindacato ricco, con le casse piene di oro (dove?), che però – come una chiesa barocca e controriformista – chiude fuori sui gradini il magro giorno di milioni di persone che non hanno accesso alle sue liturgie negoziali”, e ancora, ” Ho visto un sindacato sclerotizzato nei cerimoniali di potere interni, una organizzazione feudalizzata, spesso peggiore delle aziende con cui si rapporta. Un sindacato che probabilmente tra dieci o vent’anni sarà  un’associazione di pensionati (ho il massimo rispetto per i pensionati, anche se con ogni probabilità  non avrò mai una pensione) e di clienti più o meno soddisfatti che comprano i suoi servizi a bassa soglia.”
Confesso che toccare con mano una “lettura” del genere, almeno a me, mette profondamente a disagio. La Cisl non è di destra, non è di centro e non è di sinistra. Nell’elenco fatto sopra si è tralasciato Prodi e quando c’era Prodi, o prima con D’Alema, andava bene tutto, anche le liberalizzazioni senza regole che abbiamo visto; anche il pacchetto Treu, del quale il povero Biagi ha cercato di aggiustare le storture.
Sarebbe bellissimo lavorare 30 ore la settimana a tempo indeterminato e prendendo uno stipendio di cinquemila euro al mese. Tutti siamo d’accordo, ma il mondo, globalizzandosi, è andato da un’altra parte e Cina comunista in testa ci hanno tolto da sotto i piedi tutte le certezze. Finanza, banche e soprattutto una classe politica tra le peggiori della storia d’Italia hanno fatto il resto. Non ne usciamo con la sola idealità , non ne usciamo solo con posizioni radicali salvifiche che ci fanno stare bene con la nostra coscienza e con i nostri ideali ma che non aiutano una società  dove il reddito pro capite è dieci volte quello dei cinesi. Personalmente reputo il governo attuale una sciagura e lo dimostra anche la vertenza nei trasporti per la quale abbiamo fatto già  uno sciopero generale. Però questo è il governo oggi in attesa di un rinascimento della politica. Quando la Thatcher utilizzò metodi simili, anche più duri, in Inghilterra le Unions si ruppero l’osso del collo con atteggiamenti molto radicali.

La fatica (scomoda e misconosciuta) del pragmatismo
La Cisl, Bonanni, fa una cosa molto semplice: pragmaticamente si muove per portare a casa il massimo possibile rispetto al contesto dato e spesso ci riesce, solo che i romantici o i nostalgici lo riconoscono sempre dopo un anno o due. Ricordate le ultime fiammate per la riforma della contrattazione non firmata dalla Cgil, ad esempio? Ora tutti fanno contratti con quelle regole e ora tutti invocano i contenuti del 28 giugno.
Certo la Cisl non ha remore a sostenere una posizione opposta a quella della Fiom ‘¦la Cisl non è l’incubatrice di una certa sinistra che sta fuori dal Parlamento. Per questo è di destra? No, cerca solo di dare corpo ai suoi valori fondanti: autonomia, associazionismo, contrattazione.
La Cisl ha mille difetti e commette errori, come tutti in natura, ma la Cisl è il sindacato ideale per chi ha voglia di impegnarsi e non deve portare per forza una tessera di partito in tasca. Vi assicuro che so di cosa parlo.

Un passo della lettera dice:
Parlo della mia generazione, dei miei amici, della mia ragazza, di tutto un mondo che il sindacato ignora e non difende. Per il quale il sindacato è solo un inutile apparato parassitario o, peggio, un nemico pronto a tradire le ragioni dei lavoratori.

Crediamo invece che le posizioni scomode che la Cisl sta portando avanti da qualche anno siano tese tutte verso il contrario di quanto affermato.
E’ proprio per dare cittadinanza a tutti i lavoratori, ai giovani e alle donne che la Cisl ragiona e media per allargare i diritti a tutti. Di sclerotizzata forse c’è una visione del mondo che vuol lasciare tutto intonso nelle fabbriche e in pochi altri posti. E il resto?
Finalmente si comincia a fare qualcosa per far pagare di più il tempo determinato. Vuoi più flessibilità ? La paghi di più. Finalmente. Finalmente quello che vale nell’impresa di mille dipendenti vale anche in quella di tre. Finalmente. Non so come finirà  questa storia, né come uscirà  dal Parlamento definitivamente il provvedimento legislativo ma spero che non si faccia marcia indietro sull’allargamento a tutti della medesima regola di tutela, quale che sia e che si insista nel far pagare di più alle aziende la possibilità  di “licenziare”, altro che articolo 18, semplicemente non confermando il contratto una volta scaduto il tempo determinato.

L’orgoglio di stare nel mio sindacato!
Chi di voi non ha toccato con mano un caso di questo tipo? Sono milioni in Italia, tutti giovani ed a questi vuole e deve dare risposta il sindacato che sindacato è. Per questi motivi condivido appieno la politica che il mio sindacato porta avanti, nel contesto dato, dove siamo all’assurdo che chi fa stare in piedi il Governo coi suoi voti poi fa l’opposizione televisiva.
Ho un dubbio che mi arrovella da qualche giorno: ma se a Cernobbio ci fosse stato Bonanni e non Camusso, a tavola con Monti, cosa si sarebbe detto? Ve l’immaginate?

Infine:
Ho visto un sindacato sclerotizzato nei cerimoniali di potere interni, una organizzazione feudalizzata, spesso peggiore delle aziende con cui si rapporta. Un sindacato che probabilmente tra dieci o vent’anni sarà  un’associazione di pensionati.

Sono vent’anni che si dice che il sindacato diventerà  solo di pensionati. La Cisl, invece, ha aumentato gli iscritti tra gli attivi con le difficoltà  di farlo nell’Italia politica impazzita della seconda repubblica agonizzante in attesa della terza.
Questo aspetto è tra quelli che più mi ha colpito. Il nemico della sclerotizzazione o del rischio di burocratizzazione, è quello che combattiamo ogni giorno a casa nostra.

Su questo passaggio sarà  incentrata, o meglio ancor di più rinvigorita l’azione interna della FIT-CISL nel 2012 e fino al Congresso del 2013.
Non ringrazierò mai abbastanza chi ha scritto questa lettera, perché la utilizzerò spesso, ad iniziare dai corsi di formazione che, ribadisco il rammarico, ha deciso di lasciare.
La lettera non è andata in un cestino, come avrebbero fatto, pronto a scommettere, in qualche sindacato più “bello”. Da noi non funziona così anche perché proprio chi scrive, una volta – e non faceva sindacato ancora – ebbe un moto di ribellione e, dopo aver pensato di restituire la tessera, bussò alla porta per protestare e dimostrare che si poteva fare in un altro modo e meglio. Gli fu data la possibilità  di candidarsi alle Rsu, gli fu dato modo di formarsi, di protestare, di proporre , di discutere e di mettersi in gioco.
Qui ho potuto, altrove chissà . Qui si può, per chi non se ne va!

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