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Gestione e smaltimento rifiuti.Modelli e regole, secondo il sindacato.

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Documenti - Gestione e smaltimento rifiuti.Modelli e regole, secondo il sindacato.

29 Novembre 2011

“Gestione e smaltimento dei rifiuti. Modelli e regole”. Su questo tema sempre più stringente nella vita pubblica delle nostre città  e del Paese intero, il sindacato dei lavoratori del settore, con la FIT-CISL, hanno organizzato un meeting nazionale a Chianciano (29 e 30 novembre, hotel Excelsior) per dire la sua con precise analisi e proposte, confrontate con le altri parti, aziende ed istituzioni.

L’Italia – è emerso dal convegno – è l’unico tra i grandi paesi industrializzati europei ad avere un sistema di gestione dei rifiuti tradizionale, basato sostanzialmente sulla discarica, dove finisce circa il 42% dei rifiuti prodotti, mentre in Paesi quali Germania, Olanda, Svezia, Belgio e Danimarca la quota dei rifiuti destinata alla discarica non raggiunge il 10%.

Noi crediamo – ha detto Angelo Curcio, della segreteria nazionale Fit – che per raggiungere gli obiettivi europei su smaltimento e raccolta differenziata servono impianti all’avanguardia che preselezionino a monte il rifiuto, destinando la parte non riciclabile al recupero energetico, ma soprattutto serve una seria pianificazione, il superamento delle opposizioni ideologiche che sino ad ora ne hanno rallentato la realizzazione e quella certezza delle norme che potrebbe attrarre investimenti privati o in partenariato pubblico/privato ( ricordiamo che il settore è al 4° posto per investimenti in Europa ).

Bisogna altresì riflettere su alcune scelte, dettate più dalle ideologie che da un’attenta analisi del rapporto costi benefici, nella individuazione delle modalità  di raccolta recupero e smaltimento dei rifiuti. Ad esempio riteniamo complementare (esigenze logistiche nei centri storici ecc.) ma non risolutiva la modalità  della raccolta differenziata manuale “porta a porta”, per tre principali motivi; l’incertezza delle risorse economiche necessarie a garantire continuità  ad un servizio che rischia di essere messo sempre in discussione ad ogni nuova elezione amministrativa, eventuali esuberi di personale per il ritorno al più economico sistema meccanizzato, scarsi investimenti in mezzi e attrezzature idonee a prevenire possibili rischi su salute e sicurezza dei lavoratori rispetto a carichi e modalità  di lavoro.

In questo scenario, in cui emerge con forza l’assenza di un sistema paese e di una diffusa politica industriale, prima ancora dell’assenza di mercato pesa l’approccio sbagliato della classe politica che, a prescindere dal colore, ha fatto ben poco per generare una situazione adeguata.

Servono soprattutto -rimarca Curcio- regole certe stabili in base alle quali Regioni ed Enti Locali siano responsabilizzati sugli obiettivi da perseguire, ciascuno nel proprio ambito di competenza, al fine di rendere maggiormente efficiente il sistema complessivo attraverso il ciclo integrato, la riduzione del rifiuto, la selezione ed il riciclaggio, il minor impatto energetico e ambientale dell’intero processo dello smaltimento, e il decoro urbano collegato allo spazzamento. Quando i lavoratori di questo settore hanno scioperato contro il Dl 135/2009 (decreto Ronchi) o, da liberi cittadini, a favore del referendum per l’abolizione dell’art.35, non l’hanno fatto come beceri conservatori contrari alle liberalizzazioni, ma come cittadini stanchi di strumentalizzazioni politiche su settori di interesse pubblico, strumentalizzazioni utili solo ai politici di turno per dimostrare che il loro era “il governo del fare”.

La FIT-CISL sulle liberalizzazioni ha sempre chiesto una normativa chiara ed esigibile, in particolare, per la gestione dei rifiuti, devono essere riconosciuti gli elementi qualificanti ottenuti con la partecipazione delle parti sociali nella stesura del D.lgs 152/06 non ancora recepito da molte amministrazioni Regionali: Qualificazione delle imprese che operano nel settore con idonee garanzie finanziarie e assicurative; gestione integrata dei rifiuti con l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili sullo smaltimento, tramite impianti industriali in un ottica di ciclo completo; la durata minima di 15 anni, prevista dalla 152/06, per l’affidamento del servizio, che dà  certezze alle imprese che vogliano investire in innovazione e sviluppo, garantendo a loro la possibilità  di ammortizzare i costi sostenuti e permettere agli enti locali di poter contare su finanziamenti privati per migliorare i servizi; clausola sociale nei cambi di appalto; Passaggio da tassa a tariffa con la copertura di tutti i costi legati alla gestione dell’intero ciclo, con meccanismi di adeguamento dei canoni e tariffe non solo sull’indice ISTAT ma piuttosto sui costi del settore, nei quali incidono ad esempio gli aumenti del costo del carburante o del lavoro ogni volta che viene rinnovato il CCNL; obbligo di applicazione del ccnl di settore da inserire nello schema di contratto di servizio anchein conformità  a quanto previsto dalla legge n. 327 del 7 novembre 2000 in materia di determinazione dei costi del lavoro e della sicurezza sul lavoro.(tale obbligo è necessario per evitare possibili situazioni di dumping contrattuale e sociale e a dare regole certe ad un mercato dove la concorrenza sia basata sulla capacità  imprenditoriale nella gestione del servizio e non esclusivamente sulla riduzione dei costi del personale).

Da troppi anni si producono riforme e controriforme, norme non attuate per la mancanza dei regolamenti, obiettivi che rimangono sulla carta, in un contesto dove, invece di fornire chiarezza e semplificazione, si è generata complessità  e confusione, conflitti di competenze, ritardi, o impedimenti nell’esecuzione dei provvedimenti con la totale impunità  dei soggetti responsabili, se nessuno è perseguibile per le mancate attuazioni delle norme di legge in materia tutto rimane immutato, è per questo che vediamo con favore il provvedimento inserito nella legge di stabilità  2012 che prevede il commissariamento degli enti locali inadempienti e riprende in buona parte i principi sopraelencati contenuti nella 152/06.

Nel corso della tavola rotonda, FIT-CISL sono state descritte due esperienze significative della diversità  territoriale nell’attuazione della normativa di settore. Quella della regione Toscana che con grandi sforzi di mediazione politica ma con fermezza ha costruito un modello di aggregazione territoriale nel principio dell’autosufficienza dello smaltimento con l’applicazione dei principi contenuti nella 152. E poi quella della più grande azienda pubblica della Sicilia, che nonostante gli sforzi messi in campo negli ultimi anni, vede fortemente condizionata la sua esistenza dalle inefficienze politiche locali, specchio di una Regione che conta ancora 27 ATO con relativi consigli di amministrazione con una legge regionale che invece prevede la loro riduzione a 9 (uno per provincia) e la loro trasformazione in Società  Regionali per i Rifiuti ma per far questo deve prima ripianare il debito di 1 miliardo di euro maturato in 6 anni di gestione.

Altra criticità  che gli enti locali -sostiene la Fit- dovranno affrontare è il passaggio da Tassa a Tariffa, solo alcuni Comuni hanno deliberato per questo importante cambiamento nei rapporti tra chi fornisce un servizio e i cittadini utenti.

Sono infatti 5.786 (il 71,42% dei Comuni) ad aver adottato la Tarsu (pari al 54,57% della popolazione) e 1.256 (il 15,50% dei Comuni) ad aver applicato la Tariffa (pari al 30,70% della popolazione) manca il dato per il 13,07% dei Comuni, pari al 14,73% della popolazione nazionale.

Analizzando poi il numero dei Comuni e il numero degli abitanti il meeting Fit ha consentito di far emergere che a scegliere la Tariffa sono state in gran parte le città  più popolose, come ad esempio il Lazio, dove tra gli 11 Comuni che hanno adottato la Tariffa (2,91% sul totale regionale pari al 53,90% della popolazione) c’è anche Roma. Purtroppo ad oggi i problemi per il passaggio da tassa a tariffa sono molteplici: La tariffa è difficilmente esigibile nei confronti di utenti morosi se non per via giudiziaria, il servizio che per sua natura è di carattere collettivo non può essere sospeso, quindi il singolo utente moroso non può essere privato della prestazione, come accade nei servizi a rete (es. telefonia, elettricità , gas ecc.). Inoltre per ragioni di carattere igienico sanitario i rifiuti prodotti dagli utenti vanno raccolti e smaltiti entro breve tempo, quindi anche in presenza di prestazioni per singoli utenti non può essere avviata la sospensione del servizio nei confronti di chi è moroso. La tassa sui rifiuti, insieme all’occupazione del suolo pubblico, rappresenta oggi per i Comuni una delle poche fonti di gettito economico, le amministrazioni Municipali sono quindi restie nel rinunciare a gestire direttamente i proventi della tassa, che in caso di bisogni contingenti, possono essere impiegati per risolvere esigenze economiche, con liquidità  difficilmente reperibile nei sempre più risicati bilanci locali, in tal proposito guardiamo con preoccupazione alla nuova tassa sui servizi (RES) che dovrebbe inglobare l’attuale tassa sui rifiuti, si rischia di costruire un unico calderone dove attingere risorse che verrebbero distratte in maggior parte dalla gestione dei servizi di igiene urbana impoverendo gli stessi e la loro qualità .

Tali comportamenti -è stato sottolineato a Chianciano- condizionano fortemente i rapporti con chi eroga il servizio, creando i presupposti per forti ritardi nei pagamenti rispetto ai servizi erogati. Spesso si creano dei contenziosi assurdi. I comuni propongono di sanare i loro debiti nei confronti delle imprese solo dietro una rivisitazione al ribasso dei contratti di servizio, in questo caso, chi eroga il servizio, non può neanche tentare di forzare la mano con la sospensione dello stesso a fronte del mancato pagamento, altrimenti i Comuni denuncerebbero l’impresa per la sospensione di pubblico servizio e ricorrerebbero ai Prefetti per i possibili rischi igienico sanitari, quindi alla fine le aziende sarebbero comunque costrette a riprendere le attività  di raccolta e smaltimento.

La FIT-CISL sostiene da tempo la necessita non più derogabile del passaggio da tassa a tariffa, perche è solo con il pagamento diretto dei cittadini a chi eroga il servizio che si dà  autonomia economica e si responsabilizzano le imprese, limitando possibili costrizioni da parte delle amministrazioni locali, favorendo la stipula di contratti di servizio dettagliati, anche personalizzati, che possano soddisfare, in un quadro di regole predefinite, le diverse esigenze degli utenti. Occorre secondo il sindacato, oltre ad una Autority di Settore, una normativa che obblighi i comuni al passaggio da tassa a tariffa, che chiarisca definitivamente la questione del pagamento dell’iva e dei relativi ricorsi legali promossi dalle associazioni dei consumatori, e che dia la possibilità  di utilizzare strumenti di fermo amministrativo nei confronti dei morosi e degli evasori.

Infine c’è poi da combattere un atteggiamento culturale distorto, condizionato dai media e dai liberisti dell’ultima ora nei confronti dei costi delle tariffe sui servizi essenziali. Mentre per altri servizi all’utenza, come ad esempio la telefonia, le famiglie spendono mediamente un migliaio di euro all’anno, al contrario, per un servizio indispensabile come quello della raccolta e smaltimento dei rifiuti un costo medio di 300 euro annui è considerato eccessivo, come se parlare al telefono fosse più indispensabile rispetto alla salvaguardia dell’ambiente e della salute delle future generazioni.

Per la FIT-CISL è indispensabile scegliere un modello di gestione integrata dei rifiuti, che superi l’attuale frammentazione, incentivando con provvedimenti legislativi di natura economica le aggregazioni aziendali, ottimizzando i processi produttivi al fine di conseguire la massima economicità , efficienza ed efficacia, con conseguente riduzione dei centri di costo (es. consigli di amministrazione di società  partecipate o collegate ecc.). Laddove ciò è stato realizzato si è assicurato il giusto rapporto tra qualità  del servizio e costo a carico della collettività , i cittadini hanno potuto beneficiare di tariffe più basse e servizi migliori. Invece laddove ciò non è avvenuto, soprattutto al sud, la situazione è fuori controllo con tariffe e servizi spesso inadeguati e bilanci in profondo rosso. FIT-CISL ritiene che il modello di aggregazione, come ad esempio quello delle Multiutility, può essere la soluzione, che oltre ad aggregare tutti i servizi locali e territoriali, può finanziare, con parte dei proventi dei servizi più “ricchi”, i servizi universali da garantire alla collettività  e alle fasce sociali più deboli.

Le associazioni datoriali Federambiente e Fise Assoambiente hanno condiviso da tempo con le OO.SS. una strategia nazionale per il settore che valorizzi la gestione integrata dei rifiuti e che orienti le politiche industriali verso l’autosufficienza nello svolgimento delle attività  del core business, limitando di conseguenza la pratica delle esternalizzazioni. Inoltre le parti sociali stanno facendo fronte comune, per contrastare i mancati pagamenti da parte dei committenti che, soprattutto nel Sud del Paese, gravano sul sistema delle retribuzioni e sull’evasione contributiva obbligatoria e complementare, con risvolti occupazionali non più sostenibili. Nell’incertezza generale, la contrattazione nazionale e aziendale, la scelta condivisa e partecipata dei modelli gestionali, sono forse tra i pochi punti di riferimento che oggi garantiscono maggiore efficienza, efficacia, economicità  e sostenibilità  sociale ed ambientale dei servizi.

Appare fin d’ora chiaro che se la progressiva liberalizzazione del settore non sarà  supportata dal continuo sviluppo di regole chiare, da una pedissequa e certa applicazione delle normative comunitarie, nazionali e contrattuali, si assisterà  progressivamente all’aumento di emergenze ambientali e sanitarie con risvolti economici e sociali negativi nei confronti dei cittadini e dei lavoratori. Ma, concludono i sindacalisti FIT-CISL noi ci batteremo per scongiurare questi scenari negativi, e saremo al fianco di tutti coloro i quali lavoreranno per la definitiva affermazione del concetto che la gestione e il trattamento dei rifiuti rappresenta un’opportunità  economica ed occupazionale e non un’emergenza ambientale continua.

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