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Questione salariale e lavoro sicuro

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Documenti - Questione salariale e lavoro sicuro

15 Marzo 2024

Promuovere salari equi, riguadagnare competitività e tenere alta la guardia sulla sicurezza puntando all’obiettivo zero morti e zero infortuni sul lavoro

L’Italia è un Paese che incede zavorrato da troppe questioni irrisolte. La questione meridionale, la questione fiscale, la questione femminile, la questione salariale, sono solo alcune di esse.

A più riprese le varie “questioni” sono state affrontate ma non sono mai state risolte definitivamente. Sulla prima, le risorse del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), se ben spese, possono cominciare a colmare parte del divario che, negli anni, si è consolidato fra le aree del nord e del sud del Paese; sulla seconda i Governi per anni hanno rinviato il problema e attendiamo l’esito del confronto con l’attuale esecutivo; sulla parità di genere si può e si deve fare di più.

Sulla questione salariale, come sindacato, da anni ci battiamo per adeguare gli stipendi delle lavoratrici e dei lavoratori dei trasporti ma, fatti esterni alla contrattazione come crisi finanziarie, pandemia, guerre, in maniera sistematica vanificano, seppur parzialmente, i risultati raggiunti.

Il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha di recente sottolineato quanto sia fisiologico aumentare i salari per provare a recuperare una parte del potere d’acquisto, sostenendo in tal modo i consumi. Non è un pensiero banale, posto che viene formulato dal più alto esponente non governativo in materia di finanza nazionale ed estera. Nei fatti dal 1991 e il 2022, a fronte di una crescita dei salari del 32.5% nell’area OCSE, l’Italia ha visto un aumento medio al netto dell’inflazione dell’1%, lo ripeto, uno per cento, secondo l’ultimo Rapporto Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche.

Qualche arruffone proverà a sostenere che la colpa è della nostra endemica bassa produttività ed è imbarazzante che analisi così palesemente fasulle siano ancora oggi messe in circolazione.

Negli ultimi anni, l’Italia ha certamente sofferto di una crescita salariale stagnante, con aumenti che non hanno tenuto il passo con l’inflazione e l’aumentato costo della vita. Questo ha contribuito ad un insostenibile aumento della disuguaglianza economica ed alla diminuzione del potere d’acquisto reale dei lavoratori, a ciò si aggiunge la situazione patrimoniale degli italiani che dal 2011 è diminuita del 7,7% facendoci scivolare al terzo posto. Eravamo primi, dietro i cittadini di Francia e Germania che invece hanno visto migliorare significativamente i loro patrimoni. Questo è ciò che emerge dall’analisi dei dati sul patrimonio pubblicati a metà gennaio dalla Banca d’Italia e dall’Istat.

Per onestà dobbiamo ricordare che la componente salariale è solo una delle parti che contribuiscono a determinare il patrimonio e ben sappiamo quanto siano bassi gli stipendi nel nostro Paese e quante vischiosità impediscono il naturale e rapido rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro scaduti.

La questione salariale in Italia è certamente complessa, influenzata da una serie di fattori interconnessi. Le leggi ed i regolamenti governativi oltre alle tasse sul reddito, giocano un ruolo importante nel determinare i livelli salariali e nel garantire una certa equità nel sistema ed è altrettanto ovvio che non sono eque le sanatorie e le rottamazioni di cui godono alcune categorie di contribuenti infedeli che ogni anno ci sottraggono decine di miliardi di euro attraverso l’evasione e l’elusione fiscale.

Per non parlare di quegli imprenditori che sono diventati autoreferenziali, restii all’innovazione di processo e di prodotto e che, quando sono in difficoltà, minacciano di abbandonare l’Italia invece di fare la propria parte, per poi incassare tutti i contributi possibili dallo Stato e pagare le (poche) tasse in paradisi fiscali.

É il momento che il Governo incominci ad applicare nei confronti di evasori e prenditori politiche più severe e sanzioni di sicura applicazione. Affrontare le disparità salariali e promuovere salari dignitosi per tutti i lavoratori rimane una sfida importante per il Paese ed è questo il primario impegno del sindacato attraverso il sistema di contrattazione collettiva perché salari e condizioni di lavoro ottimali possono essere definiti solo attraverso negoziati tra sindacati e associazioni di datori di lavoro e non, come qualcuno continua a sostenere, definendo per legge una mera aliquota oraria.

Un rapporto di lavoro, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non è fatto solo di prestazione (il lavoro) e di controprestazione (l’aliquota oraria) ma di diritti, norme di impiego per garantire la sicurezza, il welfare e tanto altro.

L’impegno della Fit-Cisl è quello di portare a definizione durante questo anno la sottoscrizione dei contratti di lavoro scaduti nel nostro settore.

Una notizia che non è sulle prime pagine ma che deve interessarci è quella dalla stesura di un Dossier relativo alla competitività dell’Europa che identifichi le priorità e le relative politiche da mettere in atto nei diversi settori. Mario Draghi è la persona a cui, lo scorso settembre, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dato incarico di stilare un rapporto sulla competitività della Ue.

L’economia europea sta purtroppo perdendo centralità nelle catene dell’offerta e da questa fragilità traggono il massimo profitto Paesi come la Cina e gli Stati Uniti.

Le debolezze di cui il tessuto produttivo del Vecchio Continente soffre sono state amplificate nel corso della pandemia prima e dalla guerra in Ucraina poi, mettendo in crisi il modello geopolitico prima ancora di quello economico e la crisi in Medio Oriente ha esacerbato una situazione già incandescente.  Si sono così creati, di fatto, dei blocchi, che vedono i paesi anglofoni e l’Europa occidentale contrapposti più o meno muscolarmente a Russia, Cina ed India che, a fasi alterne, si offrono come “mediatori culturali” del resto del mondo. È la GEOPOLITICA, la disciplina che analizza le relazioni tra spazio geografico, potere politico e dinamiche internazionali. Si concentra sul modo in cui aspirazioni, più o meno legittime, risorse naturali, posizione geografica e altri fattori influenzano i decisori politici e le relazioni tra gli attori internazionali come Stati, organizzazioni internazionali e gruppi etnici.

È uno strumento utile per comprendere i motivi alla base dei conflitti e delle alleanze globali, nonché per provare ad anticipare ed analizzare gli sviluppi nelle relazioni internazionali, per provare magari ad evitare di esserne travolti, perché dall’Ucraina in poi tutto è cambiato e nulla sarà più come prima.

Per questo è imperativo che Draghi definisca una dettagliata roadmap sul livello di competitività dell’Europa Comune, basata esclusivamente su un’analisi accurata di fatti e dati, certificati e riscontrati. Ci auguriamo che le analisi finali siano fattuali e schiette, anche a costo di generare qualche malumore tra i Paesi che la competitività la praticano più all’interno dei partner europei che verso l’esterno globalizzato.

Rimanendo nel nostro ambito, la competitività europea nel settore del trasporto aereo è uno dei temi per noi centrali quanto ricorrenti. È influenzata da diversi fattori, tra cui la presenza di compagnie aeree efficienti e competitive, infrastrutture aeroportuali moderne e ben collegate, regolamentazioni efficaci e politiche di mercato aperte. Le compagnie aeree europee competono su molteplici fronti, inclusi i prezzi dei biglietti, la qualità dei servizi offerti, la puntualità dei voli e la copertura delle rotte. Le principali compagnie aeree europee, come Lufthansa, Air France-KLM, British Airways e Ryanair, sono attive sia nel mercato nazionale che in quello internazionale, cercando di attrarre i passeggeri offrendo tariffe competitive e una gamma di servizi accessori e complementari al viaggio.

Le compagnie aeree europee competono non solo tra loro, ma anche con vettori internazionali provenienti da altre regioni del mondo, come le compagnie aeree del Medio Oriente e dell’Asia. Questa concorrenza spinge le stesse a migliorare continuamente i propri servizi e a cercare modi per ridurre i costi operativi al fine di rimanere competitive sul mercato globale del trasporto aereo, consapevoli però che alcuni soggetti extracomunitari non giocano con le stesse regole effettuando veri e propri dumping di Stato.

Le regolamentazioni e le politiche governative influenzano notevolmente il settore del trasporto aereo in Europa. L’Unione Europea ha un impatto significativo attraverso normative come il Cielo Unico Europeo, che mira a migliorare l’efficienza del traffico aereo attraverso la gestione del traffico aereo paneuropeo. Inoltre, le politiche sull’emissioni di carbonio e sulle tasse sul carburante possono influenzare i costi operativi delle compagnie aeree e la loro competitività. Non dimentichiamo però che l’Europa può anche essere un freno, talvolta ingiustificato, come appare nella vicenda Ita-Lufthansa da troppo tempo in attesa del via libera della Direzione Concorrenza.

Oltre alle regole determinate dall’Unione Europea, giocano un ruolo importate e decisivo per sostenere la competitività del trasporto aereo in Europa anche le infrastrutture aeroportuali. I principali hub aeroportuali come Heathrow a Londra, Charles de Gaulle a Parigi, Francoforte in Germania e Amsterdam-Schiphol nei Paesi Bassi, senza dimenticare il nostro ottimo Roma Fiumicino, sono fondamentali per la connettività aerea europea e globale. Investimenti nelle infrastrutture aeroportuali, come l’espansione delle capacità e l’implementazione di tecnologie innovative, sono cruciali per mantenere e migliorare la competitività del settore. Ma altrettanto fondamentale, lo ripeto, è che si giochi tutti con le stesse regole.

Un patto di responsabilità per fermare le tragedie sui posti di lavoro: la mobilitazione nazionale Cisl

L’ennesima tragedia sul lavoro avvenuta al cantiere Esselunga di Firenze, il 16 febbraio scorso, che ha provocato cinque morti e tre feriti, ha riportato all’attenzione nazionale il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, su cui il sindacato non ha mai abbassato la guardia. La Cisl ha risposto avviando una mobilitazione nazionale con lo slogan “Fermiamo la scia di sangue”, programmando assemblee nelle fabbriche, nei cantieri, negli uffici e nei luoghi della produzione e iniziative sui territori, da Nord a Sud, annunciata dal Segretario Generale Luigi Sbarra, per dire basta a infortuni e morti sul lavoro: “una strage che deve finire e che sfregia i più elementari diritti costituzionali. Bisogna fermare la scia di sangue e bisogna farlo ora, ponendo in cima alle priorità la salvaguardia della vita e della salute delle persone che lavorano”. Sbarra ha ribadito la proposta di un “patto di responsabilità” che impegni Governo, istituzioni, enti e parti sociali in una “strategia nazionale” sul tema della salute e della sicurezza sul lavoro. Questo significa più controlli, più ispezioni e più ispettori sul territorio, più risorse e interventi concreti, banche dati incrociate, rating sociale per le imprese, con una patente a punti che premi le realtà virtuose. E poi un grande investimento sulla prevenzione, formazione e una stretta su sanzioni e repressione. Proposte contenute in un volantino/decalogo presentato nel corso di un incontro a Palazzo Chigi tra Governo e rappresentanze sindacali e datoriali, per discutere delle nuove norme in materia che caratterizzeranno il prossimo decreto sicurezza.

“Un incontro positivo e apprezzabile, in cui la ministra del Lavoro Calderone ha preannunciato alcune misure come la volontà di rafforzare controlli, ispezioni, assunzioni, sanzioni, investimenti. Misure in parte condivisibili, che rispondono ad alcune priorità avanzate dalla Cisl ma che per essere davvero efficaci devono essere collegate a una complessiva e concertata strategia nazionale. Aspettiamo di conoscere nel merito i contenuti del Decreto per una valutazione completa” le dichiarazioni del Segretario Generale Sbarra.

Ridurre a zero morti e infortuni sul lavoro è l’obiettivo da raggiungere con solerzia e che richiede un impegno costante e coordinato da parte di tutti gli attori coinvolti: istituzioni, aziende e sindacato stesso che dovrà svolgere un ruolo attivo e propositivo di informazione e sensibilizzazione su tali temi. Anche nel mondo dei trasporti, registriamo incidenti e infortuni, spesso mortali, che ripropongono l’urgenza di agire adesso, immediatamente per interrompere questa triste e drammatica catena di morti. Lo facciamo sostenendo convintamente la mobilitazione nazionale Cisl. La Fit-Cisl Umbria, il 27 febbraio scorso, ha inaugurato la prima di una serie di iniziative previste organizzando una grande assemblea alle Officine Manutenzione Ciclica Locomotive di Foligno. Si è parlato dei temi legati alla sicurezza e delle novità introdotte dal decreto approvato lunedì in Consiglio dei Ministri, ribadendo la necessità di intensificare la formazione a tutti i livelli e rafforzare le misure di prevenzione da definire all’interno dei contratti di lavoro. La tutela dei lavoratori, infatti, comincia applicando la normativa già esistente. Bisogna diffondere la cultura della sicurezza a tutti i livelli parlandone tutti i giorni. Gli strumenti ci sono e bisogna renderli operativi e concreti all’interno di tutte le imprese dei trasporti. Efficace, da questo punto di vista, è la previsione della Stop Work Authority che deriva da un’estensione del comma 2 dell’art. 44 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e che si sostanzia in una funzione che può essere assunta da ciascuna lavoratrice e ciascun lavoratore, opportunamente formati, i quali possono intervenire per fermare le attività qualora ravvedano potenziali pericoli per sé o per un team di colleghi, senza temere l’attribuzione di colpa o sanzioni disciplinari. La battaglia per la sicurezza sul lavoro riguarda tutti e per questo deve essere condivisa da ciascuno di noi, solo così potremo vincerla e arrivare all’obiettivo zero infortuni e zero morti sul lavoro, non un’utopia ma un traguardo possibile.

Cosa prevede l’art. 44 del dlgs 81/08?

L’art. 44 dlgs 81/08 stabilisce che il lavoratore, in caso di grave emergenza, può abbandonare il posto di lavoro senza subire alcuna conseguenza. In particolare, il comma 1 dell’art. 44 dlgs 81/08 afferma che il lavoratore, in caso di pericolo graveimmediato e che non può essere evitato, che si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa.

Dunque, il lavoratore nel caso in cui dovesse trovarsi in una delle suddette situazioni ha il diritto di:

  • allontanarsi da esse;
  • evitarle.

In entrambi i casi, il lavoratore non può subire alcuna conseguenza.

Il comma 2 dell’art. 44 dlgs 81/08 specifica, invece, che il lavoratore può prendere misure adatte a scongiurare le conseguenze di un pericolo grave e immediato qualora non sia possibile contattare un superiore gerarchico senza subire pregiudizi per tale comportamento, sempre che non vengano dimostrate gravi negligenze.

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